I manifestanti hanno allestito un accampamento a Cabrobó, nello Stato nord-orientale di Pernambuco – uno dei due comuni, insieme a quello di Petrolândia, da cui partiranno 720 chilometri di canali – annunciando che la protesta andrà avanti “a tempo indeterminato”.
Secondo il progetto del governo – hanno riferito i promotori della protesta – le acque che saranno deviate serviranno al 70% per l’irrigazione di grandi coltivazioni e allevamenti di gamberi, al 26% per uso industriale e solo al 4% per le popolazioni delle aree rurali e urbane.
“La mobilitazione si svolge in modo pacifico e coinvolge movimenti popolari degli Stati di Alagoas, Sergipe, Pernambuco, Bahia e Ceará” si legge in una nota pervenuta alla MISNA dal Consiglio indigenista missionario (Cimi). “È un’azione che punta all’archiviazione del progetto a favore di tecnologie alternative per garantire la vita nelle aree semi-aride; inoltre il popolo indigeno Truká rivendica la proprietà delle terre interessate dai lavori” aggiunge il comunicato.
In una cerimonia simbolica ieri 200 indigeni, rappresentanti di 16 comunità native, hanno danzato attorno a un cratere scavato dall’esercito, riempiendolo con terra e cemento armato lasciato dai militari e issandoci sopra una croce; sulla terra sono stati poi piantati fagioli, miglio e diverse specie di alberi.
“Il presidente deve ascoltare la gente del nord-est e smettere di ascoltare le elite. Con questa azione simbolica vogliamo seppellire il progetto che è un vero assalto al popolo brasiliano” ha detto Jose Josivaldo Alves de Oliveira, del Movimento delle vittime delle dighe. Oggi all’accampamento sono attesi i vescovi di Barra monsignor Luiz Flavio Cappio, e Juazeiro, monsignor Jose Geraldo, che celebreranno un atto ecumenico con i dimostranti.
Nel 2005 la mobilitazione contro il progetto di deviazione del fiume Saõ Francisco aveva visto come massimo esponente proprio monsignor Cappio, protagonista di uno sciopero della fame di 11 giorni, interrotto solo quando il governo si impegnò a discutere pubblicamente il progetto.
La costruzione di sette impianti idroelettrici lungo il fiume Saõ Francisco – ricordano i movimenti contrari al progetto di deviazione – ha comportato finora il disboscamento indiscriminato e, l’inquinamento prodotto dalle scorie industriali che “uccidendo il fiume, uccidono il suo popolo”, in un corso d’acqua che ospita centinaia di isole abitate dalle comunità indigene e ‘quilombolas’, formate dagli ex-schiavi africani fuggiti dalle piantagioni nel primo periodo coloniale del Brasile.
[FB] – BRASILE 28/6/2007