Italiani in Africa

Guinea Equatoriale. La banda Obiang e gli amici italiani

Max-Liniger Goumaz
  Le massicce e comprovate violazioni dei diritti umani, l’occupazione del potere da parte di un clan, la diffusa corruzione e il vuoto di libertà civili nel piccolo paese dell’Africa Occidentale neppure sfiorano gli imprenditori e i politici di casa nostra. Anzi, un libro di Alberto Michelini – che, per conto di Walter Veltroni, tiene i rapporti con i governi dell’Africa – mette in ottima luce il presidente Teodoro Obiang Nguema.
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La classifica 2006 di Trasparency International colloca la Guinea Equatoriale ai primi posti tra i paesi più corrotti al mondo. A più riprese, negli ultimi anni, denunce di violazioni dei diritti umani sono state fatte da Amnesty International, da Reporters sans frontières, da Global Witness, dalle chiese cattolica e protestante, e da Medici senza frontiere, che, nel 2000, hanno lasciato il paese perché gli aiuti umanitari venivano usati in modo improprio. È inquieto persino il Dipartimento di stato Usa. Il 9 novembre 2006, il New York Times scriveva: «Nonostante le entrate petrolifere ammontino a 3 miliardi di dollari l’anno, la maggior parte dei 550mila cittadini della Guinea Equatoriale vivono sotto la soglia della povertà». Alla fine di febbraio di quest’anno, l’arcivescovo di Canterbury ha fermamente denunciato i comportamenti scandalosi del regime nguemista.

Secondo Francesco Martone, Rc-Sinistra europea, nella scorsa legislatura segretario della commissione straordinaria sui diritti dell’uomo del senato italiano: «Da 27 anni, il presidente Obiang Nguema e il suo entourage fanno il loro comodi, accumulando ricchezze, coltivando la corruzione e reprimendo ogni dissenso. Uno scandalo sostenuto dagli interessi petroliferi. La stessa Organizzazione per la cooperazione e sviluppo economico (Ocse), che associa i 30 paesi più sviluppati, afferma che siamo in presenza della dittatura di un clan familiare, dove la giustizia è sottoposta all’esecutivo e dove l’economia è dominata dal petrolio e dalla corruzione. Il governo è composto di 50 ministri – un ministro ogni 10.000 abitanti – e, di questi, 20 sono della famiglia Nguema».

Eppure, l’Italia, come se niente fosse, continua ad avere rapporti a vari livelli con una dittatura che sta saccheggiando questo paese dell’Africa Occidentale, dove il 60% della popolazione vive con meno di 2 dollari al giorno. Un esempio? Silvio Berlusconi, il 18 maggio 2005, ha accolto a palazzo Chigi il dittatore, in occasione di un incontro con alcune imprese italiane, tra cui Finmeccanica, leader del settore armiero.

Nel 2006 l’Italia è stata il secondo fornitore della Guinea Equatoriale, dietro agli Usa e davanti a Francia e Spagna. La cooperazione governativa e numerose organizzazioni non governative (ong) sono attive da una ventina d’anni. Nel 1988-89, l’associazione Maria Porta del Cielo e le suore Carmelitane della carità Vedruna costruiscono due scuole. Nel 1990, l’associazione Dokita, della congregazione italiana dei Figli dell’Immacolata Concezione, ha cominciato a ristrutturare la chiesa della città di Añisok. Nella località di Nkué, l’onlus Baby nel Cuore costruisce un ospedale a partire dal 2005. L’Italia ha contribuito, con i marmi di Carrara e con le vetrate eseguite dal Consorzio ligure vetro artistico, al restauro del palazzo presidenziale nella capitale Malabo; ancora nella capitale, la A.S.F. Toscan Stucchi di Siena ha costruito la sede degli uffici del governo centrale. Sempre a Malabo, sotto la direzione dell’architetto genovese David Gaggero e della squadra di tecnici, è stato costruito l’hotel Sofitel.

A Bata, la principale città della provincia continentale (detta Rio Muni), lo stesso gruppo italiano ha realizzato nel 2004 l’ampliamento del Centro Conferenze, con la partecipazione di Iris Fabbrica marmi e graniti: 24 milioni di dollari l’ammontare dei lavori. Sempre a Bata, la lussuosa villa, di proprietà di Teodorín, figlio primogenito del dittatore Obiang Nguema e ministro dell’agricoltura, è ornata di statue provenienti dall’Italia. A Mongomo, feudo del clan di Nguema, la squadra di Gaggero ha realizzato una residenza del presidente e anche un mausoleo. Per inciso: pur essendo dell’ambasciata italiana in Camerun la giurisdizione sulla Guinea Equatoriale, a Bata è stato aperto un vice-consolato onorario d’Italia.

Tutto ciò avviene, mentre la stampa internazionale da anni racconta le gesta della “banda Nguema”. Nel 2004 una commissione d’inchiesta del senato Usa denunciò che questa banda aveva depositato presso la Riggs Bank di Washington (in seguito, chiusa) più di 700 milioni di dollari del bilancio statale guineano. Più recentemente, Teodorín Nguema ha affittato, per 700mila euro, lo yacht del co-fondatore della Microsoft, Paul Allen; ha acquistato un casa e una collezione di auto di lusso a Città del Capo (Sudafrica); e lo scorso novembre si è concesso una villa a Malibu (California) per la modica cifra di 35 milioni di euro.

È dell’estate scorsa una ricerca pubblicata dalla Confederazione internazionale dei sindacati liberi (Bruxelles), curata da due dirigenti di “Convergenza per la democrazia sociale”, il solo partito di opposizione tollerato in Guinea Equatoriale. Lo studio conclude che i diritti dei lavoratori sono fortemente condizionati dall’assenza di libertà civili e sociali; che l’economia generata dal petrolio ha rafforzato la dittatura e arricchito chi è al potere; che il mercato del lavoro è in mano a delle agenzie controllate da parenti diretti del dittatore; che la libertà sindacale è inesistente.

Nigrizia, giugno 2007

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