La SEDM persegue teoricamente:
– Scambi informativi sulle iniziative in corso e future nel campo della difesa e sicurezza nel sud-est Europa,
– Analisi della situazione generale dell’area e proseguimento di ogni attività per favorire la stabilizzazione del sud-est Europa.
La scelta del governo albanese di mettere a disposizione dell’esercito italiano 110 uomini, si inserisce in un quadro di trattative e accordi intrapresi dalle rispettive precedenti legislature dei due paesi. Nel gennaio 2004, infatti, l’allora sottosegretario alla difesa, Filippo Berselli aveva contemplato l’ipotesi di un contingente misto italo albanese in zone calde quali Iraq e Afghanistan. Berselli si dichiarò contrarissimo invece alla cosiddetta “brigata di Albanesi”, ossia all’inserimento di cittadini extracomunitari in contingenti dispiegati in zone di guerra. Non erano chiare e non lo sono tutt’oggi le modalità d’impiego di questi militari, le regole d’ingaggio, la retribuzione.
È chiaro invece che in un contesto di guerra come quello afghano in cui l’Italia si trova oggi coinvolta all’interno della missione NATO, ISAF, è necessario un dispiegamento sempre maggiore di forze e mezzi anche per venire incontro alle pressioni degli Stati Uniti in questa direzione.
Indicazioni in questo senso giungono il 15 febbraio dall’ambasciatore americano a Kabul, Ronald Neumann che rimprovera la riluttanza di alcuni dei 37 paesi coinvolti nella missione d’occupazione ISAF,a causa di una buona dose di ignoranza e percezione erronea. Pochi giorni prima, rimproveri all’Italia erano giunti anche dal segretario della difesa USA, Robert Gates e dal senatore repubblicano John McCain che puntavano il dito contro lo scarso impegno di alcuni alleati, nello specifico Germania e Italia. Queste esortazioni a una maggior partecipazione giungevano a ridosso dell’offensiva militare di primavera nella provincia meridionale di Helmand avviata il 6 marzo di quest’anno. L’operazione Achille,questo il nome dell’offensiva,ha contribuito a incrementare i numeri del bollettino di guerra in Afghanistan; dall’inizio del 2007 i morti sono almeno 2243 (468 civili, 1376 talebani o presunti tali, 319 militari afghani, 75 soldati NATO).
Questo appoggio giunge oggi dall’Albania dove l’Italia è presente dal 1997 con la missione Alba. Missione avviata in seguito alla risoluzione 1101 del 28 marzo 1997 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite con il contributo degli eserciti di 10 nazioni per un totale di circa 7200 uomini. I primi nuclei partono per l’Albania il 15 aprile dello stesso anno per ripristinare l’ordine sconvolto dalle proteste del popolo in seguito allo scandalo delle società d’investimento che, di fatto, volatilizzarono i risparmi di un’intera nazione con l’appoggio dell’allora presidente Sali Berisha.
Alba si concluderà il 10 agosto 1997, anche se l’Italia tornerà nel paese delle aquile nell’ambito della missione NATO Allied Harbour (AFOR) che verrà sostituita il 1 settembre 1999 dall’operazione NATO Communication Zone West a guida italiana e dipendente da comando di KFOR. Tale dipendenza ha avuto termine nel mese di giugno 2002, quando in Albania viene costituito il NATO HEADQUARTERS.
Già all’indomani dell’attacco in Iraq da parte degli Stati Uniti, mentre i paesi europei discutevano sull’eventuale partecipazione, l’Albania si schierò immediatamente a favore. Perchè? Anzitutto perché il governo albanese poteva agire nella quasi indifferenza dell’opinione pubblica interna impegnata nelle problematiche quotidiane: disoccupazione, rincaro dei prezzi, inflazione, corruzione.
La situazione complessiva del paese ha conosciuto negli ultimi anni qualche miglioramento, ma l’economia langue tutt’oggi in condizioni precarie stentando a decollare. La promessa di Bush di spartire la ricostruzione dell’Iraq tra le imprese dei paesi che avrebbero partecipato alla coalizione internazionale, rappresentava un’opportunità imperdibile per il paese delle aquile.
Le reazioni dei paesi europei nei confronti dei piccoli paesi balcanici ci furono eccome: minacce di esclusione dall’Unione Europea giunsero dalla Francia in primis. Significativo fu il commento dell’allora primo ministro Fatos Nano, il quale sostenne che l’ingresso nella NATO era infatti alla portata del paese a differenza dell’adesione all’Unione Europea, prospettiva assai lontana.
Dunque l’entrata in guerra con partecipazione alla ricostruzione post bellica e l’occasione di dimostrare l’innalzamento degli standards militari necessari per entrare nella NATO hanno rappresentato due input significativi per aderire alla guerra. L’ingresso nella NATO rappresenta un obiettivo anche dell’attuale amministrazione albanese di centro destra. L’accordo tra Italia e Albania e i due rispettivi eserciti è stato ribadito infatti nel corso di una cerimonia svoltasi a Tirana il 15 marzo scorso per la presentazione dell’attività della Delegazione Italiana Esperti nel campo della cooperazione militare. In quest’occasione, infatti, l’ambasciatore italiano a Tirana ha confermato il rafforzamento delle capacità operative dell’esercito albanese in vista di operazioni congiunte da svolgere in Libano e Afghanistan. Al momento l’unità albanese composta da 110 uomini sarà dislocata ad Herat, dove opera il contingente italiano.
In un momento in cui le truppe italiane sono esposte direttamente al rischio dei combattimenti, la concezione neocoloniale del governo italiano ha pensato di utilizzare i militari di un paese sottoposto al controllo politico ed economico di Roma.