Carceri segrete e uso della tortura in Polonia e Romania, ostacoli alle indagini sui rapimenti illegali da parte dello stato italiano, tedesco e macedone. E dietro a tutto ciò un patto tra la Nato e la Cia, firmato in segreto il 4 ottobre 2001, per coprire ed aiutare l`intelligence Usa nelle sue varie attività in Europa: in pratica quasi tutti sapevano e tutti hanno taciuto. Questo è il quadro disegnato ieri da Dick Marty, il procuratore svizzero incaricato il 7 novembre 2005 dal Consiglio d`Europa (organismo che non ha nulla a che vedere con la Ue) di indagare sulle operazioni della Cia. Marty ha presentato ieri il suo secondo rapporto, a un anno esatto dal primo. «Gli Stati uniti – dice il procuratore – hanno voluto imporre una guerra senza regole contro il terrorismo, una guerra sfociata in un disastro».
Nel giugno scorso Marty aveva parlato di una «ragnatela internazionale» di rapimenti, voli e detenzioni, tutti rigorosamente al di fuori della legge e delle convenzioni sui diritti umani. Ieri le parole più usate erano «vergogna» e «responsabilità». Parole dirette a molti, tra cui Romano Prodi e il suo governo. «L`attuale governo italiano – ha affermato Marty in una conferenza stampa a Parigi – è andato più lontano del governo Berlusconi nel tentativo di fermare l`inchiesta accuratissima del tribunale di Milano». Più in concreto Prodi ha imbracciato l`arma del segreto di stato per ostacolare i giudici, un`arma impropria, assicura Marty, che ci riporta «ai tempi della guerra fredda». L`attacco non finisce qui: «La logica avrebbe voluto che il governo attuale facesse il possibile per dimostrare che il governo precedente ha coperto o compiuto azioni illegali nell`ambito della detenzione del trasferimento illegale di presunti terroristi». Invece la logica italiana vuole che l`ex capo del Sismi Nicolò Pollari, che secondo Marty ha «mentito spudoratamente al parlamento europeo» sul caso Abu Omar, sia invece divenuto consulente del premier. È naturale che a uno svizzero (e non solo a lui) ciò possa apparire almeno curioso.
Prodi potrà comunque consolarsi: si trova in buona compagnia. Marty punta infatti dito il dito contro mezza classe dirigente polacca, da Kwasnieski ai fratelli Kaczinski, passando per gli ex premier Miller e Belka, e attacca anche i romeni Iliescu e Basescu: «Tutte le più alte cariche dello stato erano al corrente di quanto succedeva sul loro territorio». In questo caso si trattava di carceri segrete, ma è un discorso che vale anche per Italia, Germania, Macedonia, Regno unito, Bosnia e Canada, con la differenza che questi ultimi due paesi hanno ammesso le loro responsabilità. Gli altri si ostinano a negare.
Le prove intanto aumentano. «Ci sono elementi sufficienti per affermare che dei centri segreti di detenzione gestiti dalla Cia sono esistiti in Europa tra il 2003 ed il 2005, più precisamente in Polonia e Romania», ha assicurato Marty. Nella prigione polacca di Stare Kiejkuty passavano i pezzi grossi di Al Qaeda, come Abu Zubaidah e Khalid Sheik Mohammed, considerato una delle menti dell`11 settembre, mentre in Romania i pesci piccoli. Più di un sospetto anche sull`esistenza di analoghi centri nell`isola britannica di Diego Garcia e in Thailandia. In queste prigioni i detenuti «venivano sottomessi – si legge nel rapporto – a trattamenti inumani e degradanti» e a «interrogatori rafforzati», in pratica a tortura: musica assordante, aria condizionata soffocante o gelida, privazioni sensoriali, mesi di isolamento, detenuti lasciati nudi per settimane. Le fonti che permettono di lanciare queste accuse, precisa Marty, sono costituite da «testimonianze credibili e concordanti» fornite da diversi agenti dei servizi segreti statunitensi ed europei.
Secondo Varsavia e Bucarest si tratta invece di spazzatura. «Attendiamo le prove, perché al momento Marty non ne ha mostrata nessuna», afferma il portavoce del ministro degli esteri polacco. «Calunnie senza prove, presentate con male fede», l`eco indurito della senatrice rumena Norica Nicolai. Da Bruxelles basso profilo, il commissario Frattini ricorda solo che la lotta al terrorismo va sviluppata all`interno delle leggi e delle convenzioni internazionali. In ballo c`è una questione che tocca al cuore i valori della Ue: i paesi implicati e che continuano a tacere potrebbero perdere il loro diritto di voto. Ma le istituzuioni europee (commissione, parlamento, stati membri) non sembrano avere molta voglia di uscire dall`omertà.
Il Manifesto, 9 giugno 2007