«Provate a guardare il mondo dall`altra parte del vostro parquet: lì ci siamo noi». Uno strano appello quello di René Ngongo e Adrien Sinafasi. L`uno dirige un`associazione ambientalista congolese, Ocean; l`altro coordina la rete dei popoli indigeni pigmei del Congo. Sono venuti in Italia invitati da Greenpeace per spiegare cosa c`è che non va nell`industria italiana dei pavimenti.
«Quando acquistate un pavimento in Afrormosia, Iroko o Wengè, sappiate che quel legno viene dalle nostre foreste – avverte Ngongo – Sono tra le ultime ancora intatte, e sono essenziali alla sopravvivenza di animali minacciati, come il gorilla. Senza parlare del loro valore in termini di sequestro di carbonio. La loro distruzione rappresenterebbe una catastrofe per tutta l`umanità».
Negli ultimi decenni è cresciuto il numero delle imprese italiane attive nel settore forestale africano. Prima in Costa d`Avorio, Gabon e Camerun; ora sempre la Repubblica democratica del Congo. In questo Eldorado – dove si trovano i due terzi delle residue foreste intatte dell`Africa – la fine della guerra ha aperto immense prospettive di sfruttamento.
Secondo Greenpeace, venti milioni di ettari di foresta congolese, un`area grande un terzo dell`Italia, sono già stati consegnati all`industria del legno, in gran parete illegalmente: su 156 concessioni, ben 107 sono state assegnate in violazione della moratoria attualmente in vigore sul rilascio di nuovi titoli di taglio.
La Banca Mondiale punta tutto sul settore estrattivo per assicurare lo sviluppo. Una ricetta che si è già dimostrata fallimentare in altri paesi, dove l`espansione dell`industria forestale ha generato immense ricchezze, ma non ha creato sviluppo né benessere alle comunità coinvolte.
In Congo le cose non vanno diversamente: la gente della foresta è quella che paga il prezzo più alto. Le imprese arrivano senza preavviso, con le carte firmate dal governo, minacciano i villaggi, costringendoli a sottoscrivere contratti-capestro: due sacchi di sale, 18 barre di sapone, quatto pacchetti di caffé, 24 bottiglie di birra e due sacchetti di zucchero, in cambio della rinuncia a qualsiasi protesta contro la deforestazione. Una volta firmato il contratto, ogni violazione è punita da polizia ed esercito. Promettono anche scuole, ospedali, infrastrutture, di cui resterà appena qualche tettoia fatiscente. Quando l`impresa lascia la zona, la foresta è compromessa, attraversata da una fitta rete di strade che la rendono accessibile a ogni invasione.
Mentre per le imprese forestali l`impunità è la norma, grazie anche alla corruzione dilagante, la Banca Mondiale continua a voler affidar loro le opzioni di sviluppo, in nome di una fantomatica gestione responsabile della foresta. «Quando si parla di gestione sostenibile, nessuno viene da noi pigmei a chiedere come si fa- dice Sinafasi – Eppure la nostra gente ha vissuto qui per secoli, senza intaccarne la vitalità. Ora invece il taglio industriale porta via anno dopo anno pezzi di foresta. Per noi la foresta è come il supermercato: ci troviamo il cibo, le medicine, i vestiti, il materiale da costruzione. Se muore la foresta, che ne sarà di noi?»
Lo scorso 23 maggio Greenpeace ha bloccato a Salerno una nave carica di legname proveniente dal porto congolese di Matadi carica di tronchi destinati anche all`industria italiana del parquet. Scesi dai gommoni, gli scalatori si sono arrampicati a bordo, issando striscioni che chiedevano la protezione delle foreste africane. Ieri, Greenpeace ha fatto di più: ha marchiato a Ravenna il legname proveniente dalla stessa nave, in modo da tracciarne il percorso verso gli impianti di lavorazione.
Con lo scadere della moratoria sul rilascio di nuove concessioni, altri 40 milioni di ettari saranno messa all`asta. Greenpeace, insieme a numerose associazioni della società civile congolese, chiede il prolungamento della moratoria. È insensato investire miliardi di dollari di aree protette, quando queste stesse aree, dove si trovano le foreste più preziose, sono già state consegnate alla deforestazione. E le previste aree protette destinate ai nostri parquet.
Il Manifesto, 8 giugno 2008