I nuovi schiavi

Ilo: un lavoratore su cinque `sfonda` le 48 ore

Il Manifesto
  Rapporto Ilo: nel mondo 600 milioni di persone lavorano più di 48 ore alla settimana. In Perù lo fa la metà dei lavoratori, un quarto nel Regno Unito.
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nostri nipoti lavoreranno tre ore al giorno. Settant`anni dopo, l`azzardata previsione di John Maynard Keynes non si è avverata. Parte da questa constazione il rapporto dell`Ilo che ci informa che nel mondo un lavoratore su cinque lavora più di 48 ore alla settimana. Le 40 ore, che un secolo fa sembravano a portata di mano, sono una chimera per moltissimi uomini e donne. Nonostante un secolo d`ottimismo, le differenze tra paesi industrializzati e paesi in via di sviluppo restano considerevoli. In questi ultimi si lavora tanto per salari da fame. Ma anche in alcuni paesi del ricco occidente, dove i salari sono più dignitosi, percentuali robuste di lavoratori sforano le 48 ore. Lo fa il 25,7% nel Regno Unito, il 25,5% in Israele, il 20,4% in Australia, il 19,2% in Svizzera, il 18,1% negli Usa. Tra i paesi in via di sviluppo guida la classifica dei «fuori orario» il Perù, dove metà degli addetti lavorano più di 48 ore la settimana. Lo tallonano la Corea del Sud (49,5%), la Thailandia (46,7%), il Pakistan (44,4%).

E la Cina? Del paese dove si schiatta per superlavoro (l`hanno chiamato «gualaosi» ed è il corrispettivo del giapponese «karoshi») il rapporto non parla. Neppure dell`India e, per restare nel nostro piccolo, dell`Italia. Il rapporto, un librone di oltre 250 pagine, analizza e mette a confronto «solo» (si fa per dire) una cinquantina di paesi. Quel che basta per arrivare a due conclusioni.

La prima è che i «molti passi avanti» nella regolamentazione degli orari fatti dai paesi poveri e dalle economie di transizione restano sulla carta. La bassa produttività delle imprese e i bassi salari allungano gli orari di lavoro. La seconda è che l`espansione del terziario, dei servizi e dell`economia informale ha diversificato gli orari, li ha flessibilizzati e, al dunque, li ha allungati. Questo succede sia nei paesi poveri che in quelli ricchi. La diffusione di orari «non sociali» nel commercio, nel turismo, nelle comunicazioni è «un segno della globalizzazione», dice Jon Messenger, coautore della ricerca dell`Ilo. Il comparto della «sicurezza» è in assoluto il settore con gli orari più lunghi. Il top – 72 ore settimali – spetta a Giamaica. Il Messico è il paese con la quota più alta di lavoratori del commercio che sfondano le 48 ore. Ufficialmente le donne lavorano meno degli uomini. Ma sommando al lavoro fuori casa quello domestico e, nei paesi poveri, quello nei campi è tutta un`altra musica. I lavoratori giovani e quelli alle soglie della pensione hanno orari «leggermente» inferiori rispetto ai lavoratori di età media.

Non è necessario aver letto le 250 pagine del rapporto per intuire cosa intende l`Ilo per orari «non sociali»: orari così lunghi che, oltre a rendere difficile le relazioni interpersonali, incentivano malattie e infortuni. L`Ilo «raccomanda» ai governi di promuovere orari favorevoli al benessere familiare, come il part time «di qualità». E sollecita misure a sostegno delle imprese perché migliorino la loro produttività, così da rompere il circolo vizioso di orari troppo lunghi e salari troppo bassi. Da una tabella del rapporto apprendiamo che in Bolivia, Guatemale, Messico, Uruguay, Perù, Pakistan e Zimbabwe la legge è ancora ferma alle 48 ore settimanali (in Israele a 43).

Il Manifesto, 8 giugno 2007

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