LEYLA ZANA UNA MESSAGERA DI PACE
Confesso, quando Leyla Zana ha preso la parola nell`emiciclo del Parlamento Europeo, ho pianto. Davanti a me scorrevano le voci e i volti di migliaia di curdi e curde incontrati in questi anni, a Dyarbakir, a Bingol, ma anche nella fredda Bruxelles, o a Colonia, o in Piazza Celimontana a Roma, quando in tanti di loro vennero da tutta Europa con la speranza di vedere Ocalan libero e la loro sofferenza finita, insieme a tutte le ingiustizie che avevano dovuto subire. Risentivo la voce del figlio di Leyla, Ronay, che avevo invitato al parlamento europeo nel Dicembre del 1999 perché non ci si dimenticasse di Leyla alla quale nel 1995 era stato dato il Premio Sakarov.
Ronay disse in quell`occasione: «Quando venni con mio padre a ritirare il premio Sakarov al posto di mia madre condannata a 15 anni di carcere, avevo pensato: ecco, adesso sarà libera, potrò abbracciarla ancora. Ed invece sono passati quattro anni e lei è ancora in carcere». Ma mi è passato davanti agli occhi anche Dino Frisullo, che non c`è più e che aveva subito il carcere turco, e le donne e gli uomini, tra di loro le Donne in nero, che in Italia, in questi anni, hanno continuato a chiedere la liberazione di Leyla Zana, Hatip Dicle, Oran Dogan, Selim Saddak.
Leyla Zana è divenuta il simbolo delle donne curde e non solo. Ieri era qui davanti ai Parlamentari Europei oggi rappresentanti di 25 paesi, libera, finalmente, di dirci, un po` in curdo e un pò in turco, il suo messaggio politico: «Ho parlato per la prima volta in curdo nel `91, quando ho prestato giuramento davanti all`Assemblea Nazionale Turca parlando della fraternità fra curdi e turchi. Per questo sono stata molti anni dietro muri sordi e freddi, un prezzo alto ma la lotta per la libertà non può non avere un prezzo. Per gli anni passati in prigione non sono né affranta, né rancorosa, né indignata, l`ho fatto per la democrazia… Questo premio non è stato dato a me ma al popolo curdo, ai difensori della pace, della libertà, ai bambini che hanno perso i propri genitori, alle madri che hanno perso i propri figli, a coloro che sono oppressi per colore, religione e razza».
Continuava a parlare Leyla, con una voce piana, minuta, con i capelli che cominciano ad imbianchire, composta, con occhi che si muovono, guardano, si accendono. I parlamentari ascoltano quella piccola donna che da lezioni di vita, di dignità, che ha rifiutato la proposta di uscire dal carcere offertale per motivi di salute, perché non voleva abbandonare i suoi compagni incarcerati.
E lei continua il suo discorso: «Il mio è il dolore di una donna, di una madre, di una curda: le guerre hanno inflitto ferite e sofferenze, ci hanno dimostrato che la violenza porta altra violenza e non rappresenta mai una soluzione… Come una persona alla ricerca di giustizia, il mio richiamo è rivolto in primo luogo al mio popolo e al mio paese; il mio secondo richiamo alla Turchia e al suo governo affinché la questione curda sia messa all`ordine del giorno perché tutto in natura, come i fiori, ha un nome solo i curdi non ne hanno… I curdi chiedono la pace, ma il governo turco sembra sia sordo a questa richiesta. Sono stati fatti passi avanti, ma ancora superficiali… La strada per la pace è il disarmo, la libertà di pensiero e di associazione, l`eliminazione delle disparità regionali».
Leyla Zana continua dicendo quello che ha ripetuto in tutti gli incontri che ha avuto con i diversi gruppi politici del Parlamento: «Gli ostacoli che si pongono nell`uso della lingua curda devono essere rimossi dalla Costituzione turca. I curdi devono essere riconosciuti come elementi della maggioranza nella lotta verso la democratizzazione». E ancora incalza, sottolineando la necessità di far riconoscere i diritti dei 14 milioni di curdi finora esclusi; è tempo del loro Rinascimento; i diritti non si possono usare come moneta di scambio internazionale.
E` d`accordo con l`apertura della trattative per l`entrata in Europa della Turchia, i muri vanno distrutti, l`Europa ha imparato a farlo; non ci devono essere muri nel mondo ma ponti; il muro intorno ai curdi deve cadere e se la Turchia entrasse in Europa; l`Europa arriverebbe fino alla cultura della Mesopotamia, diventando portatrice della cultura moderna delle differenze.
Sta per terminare Leyla Zana e lancia un ultimo appello al popolo curdo, che sta conducendo la lotta per la democrazia: chiede coesione e solidarietà e si domanda perché tutti i popoli del mondo non possano vivere in pace e in armonia. In fondo «tutti guardiamo le stesse stelle, tutti viviamo sullo stesso pianeta e sotto lo stesso cielo!»
Ha finito Leyla, tutti in piedi applaudendo e lei si allontana con mestizia, cercando lo sguardo della sua famiglia, Roney suo figlio, Roken, sua figlia e Medi, primo curdo eletto sindaco a Dyarbakir, con 16 anni di carcere alle spalle, dichiarato prigioniero di coscienza da Amnesty International e che venerdì, con Leyla, ritornerà, dopo tanti anni di esilio, in Turchia, dove per prima cosa si recherà sulla tomba di suo padre e sua madre. Mi aspetterà, dice, per portarmi nel suo villaggio che non è stato distrutto dall`esercito, dove ci sono mucche e capre e potremmo mangiare il loro straordinario formaggio, quello che tante volte di ritorno dal Kurdistan ho portato agli amici curdi in Italia e in Belgio.
Nel pranzo offerto dal presidente del parlamento Borrell, il quale nel consegnarle il Premio Sakharov ha salutato prima in curdo e poi in turco, si continua la discussione. Oran Dogan dice che è necessario formare un movimento democratico di curdi e turchi per portare la pace.
Vi sono stati degli assenti in questo viaggio: non si è parlato dei partiti del Dehap o del Kongra-Gel, nè di Ocalan o dei giovani che sono ancora sulle montagne e che aspettano di poter tornare e reintegrarsi senza sottostare a leggi di pentimento, anche se Leyla, di fronte a domande precise, ha parlato dei più di 5000 prigionieri che devono essere liberati. Dei quattro parlamentari non ancora liberi. Il 22 ottobre si presenteranno di nuovo al processo; è scontato che si riaffermerà la loro libertà, ma fino a quel momento è fatto loro divieto di appartenenza a qualsiasi partito politico. Ma le ragioni sono anche altre: vi è molta discussione tra i curdi e i loro partiti politici; vi sono state lacerazioni all`interno del Kongra-Gel; il fratello di Ocalan, Osman se ne è andato; il presidente Ocalan continua a restare isolato nel carcere di Imrali. La Turchia sta attraversando cambiamenti notevoli così come il popolo curdo, lo si è visto anche nelle ultime elezioni municipali.
Leyla, insieme a Dicle, Saddak, Dogan sono oggi messaggeri di pace, vanno aiutati nel loro percorso. Intanto Leyla Zana mentre era in carcere ha ricevuto la cittadinanza onoraria di molte città o paesi italiani, fra questi il Comune di Roma. E` pronta a venire in Italia insieme ai suoi compagni per ricevere personalmente le “onorificenze” e continuare il suo incessante lavoro per la pace e la democrazia, in Turchia e nel mondo. Non solo li aspettiamo, ma chiediamo che al più presto le autorità che hanno assegnato le varie cittadinanze si mobilitino.
Liberazione, 15/10/2004, prima pagina