NON C`È UN SOLO MOTIVO – uno solo – per credere che il calcio volterà pagina. Né una ragione concreta per pensare che lo costringa a farlo una qualche pubblica o quasi pubblica autorità (governo con un urgente provvedimento; parlamento con nuove leggi; Coni, Federazione con nuove regole).
Le giaculatorie ipocrite, seguite alla morte di Filippo Raciti, assomigliano come gocce d`acqua alle litanie che abbiamo dovuto sorbirci dopo il fallimento finanziario del sistema o le tiritere che hanno accompagnato la scoperta, grazie al telefono di Luciano Moggi, che “il campionato più bello del mondo” era autentico come un assegno a vuoto.
Il bello del calcio italiano è che non ha nulla di misterioso e occulto. E` tutto lì alla luce del sole. Chiunque può guardare dentro il giocattolo e sfiorarne i meccanismi. Quella gigantesca giostra del contraffatto è del tutto trasparente. La trasparenza della sua opacità è, anzi, la sua forza. Obbliga chiunque incroci gli affari del calcio, chiunque debba occuparsene per ufficio (o per una maledizione) a farsene complice, corresponsabile, protettore. A meno di non voler rompere il giocattolo che crea un appetitoso consenso per molti (politica, impresa, amministrazione, media), bisogna ipocritamente far finta di non vedere quel che il calcio italiano è, vuole essere, sa essere: un mondo a parte. Con una propria medicina, che prevede il doping. Un proprio diritto societario, che accetta per statuto il falso in bilancio e fantasiosi trucchi contabili. Una propria Borsa con azioni truffa. Una propria giustizia che mai prevede colpe e responsabilità degli attori, ma soltanto impunità per gli addetti: dai presidenti agli arbitri.
Ora appare chiaro quel che il calcio pretende in quest`occasione: un proprio autonomo e particolarissimo ordine pubblico. Il fallimento delle iniziative che il governo approverà oggi è già, si può dire, nelle iniziative stesse. Non sono nuove. Sono più o meno i provvedimenti varati dal precedente ministro dell`Interno, Beppe Pisanu. Questi come quelle saranno sconfitte, nonostante l`allarmata determinazione di Giuliano Amato, dalle pressioni, dalle lobbies, da un mondo che prevede un`alterità assoluta, che nella sua alterità intravede il solo modo di sopravvivere. E` già scritto nelle cose. E` già chiaro davanti ai nostri occhi, come sempre per le cose del calcio: la grottesca richiesta delle società di “salvare” gli abbonati negli stadi vuoti perché illegali è il primo passo verso il consueto appeasement.
Soltanto un`ipocrisia sgradevole può così impedirci di non cogliere la cinica, realistica verità delle parole del presidente della Lega, Antonio Matarrese. L`uomo è un gaffeur, quindi onesto. Dice quel che pensa. E pensa che lo spettacolo deve continuare; che un morto non può fermarlo; che le società non hanno nessuna voglia di impegnare qualche centinaio di migliaia di euro nell`adeguamento degli stadi alla normativa del governo (telecamere ad alta definzione, biglietto nominativo, tornelli, steward); che i padroni delle curve – quei ceffi che i presidenti delle società si portano in giro, a cui sacrificano un giocatore, un allenatore, a volte se stessi – non possono essere espulsi, se non si vogliono affrontare guai maggiori.
E allora che lo spettacolo continui, senza stare a perdere troppo tempo e troppi soldi per un ghirigoro demagogico. Qualcuno dei presidenti delle grandi società che lo hanno eletto ha forse smentito Matarrese? Nessuno. Zitto Galliani (Milan). Silente Cobolli Gigli (Juve). Silenziosa la Sensi (Roma). Ambiguo, come sempre gli capita quando c`è tempesta, Moratti (Inter). Matarrese li rappresenta. Ha rappresentato con spregiudicata, impudente rozzezza i loro interessi, la loro volontà. Davvero qualche anima candida può credere che rispediscano Matarrese nella sua Bari?
Il bello del calcio italiano è che non ha nulla di misterioso. Tutto quel che tocca, inquina, deforma, paralizza. Anche la polizia, il lavoro della polizia che è poi quel che voleva dire, nella sua sconsideratezza, un altro gaffeur, Francesco Caruso, anch`egli liquidato con alti lai dall`ipocrisia nazionale. Quella testa matta, al contrario, ha detto una verità spiacevole, ma appunto autentica. La polizia non sa fare, meglio non può fare il suo mestiere. Trasforma la smania violenta di pochi capataz, in cerca di prestigio, visibilità, potere, influenza, affari, in un criminogeno fenomeno sociale. Invece di rendere impotenti quei pochi – e se ne conoscono identità, indirizzi e traffici – si preferisce simulare ogni domenica un corpo a corpo, una battaglia campale come se si avesse a che fare con un pericoloso soggetto sociale collettivo, come se l`ultras fosse “un`unica e monolitica figura”. Non lo è, ma l`escamotage serve a lasciare tutto com`è, a evitare di perseguire responsabilità individuali che, se colpite davvero e duramente, provocherebbero contraccolpi seri a un sistema incapace di autoriformarsi. E` un capovolgimento che provoca l`odio diffuso e indistinto di tutte le tifoserie, ma è il prezzo che la polizia, l`ordine pubblico, gli appassionati pagano a una politica incapace di far rispettare la legalità a un mondo che si ritiene e vuole essere “a parte”, sciolto da ogni legge, ordine, regola.
Potrà durare? Sì, potrà durare. Durerà, vedrete. Nonostante i morti di oggi e, dio non voglia, di domani.