Militarizzazioni

Base Usa a Vicenza. Cosa ci impedisce a riflettere?

Mario Ciancarella
  L’odore peggiore che emana dalle decisioni governative, su Vicenza e l’ampliamento della base statunitense, è purtroppo ancora una volta quello della sovranità limitata, con buona pace di Berlusconi, della destra atlantista e della “destra di Governo”.
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E’ sconcertante come ogni volta che si dibatta su simili temi, gli argomenti si incentrino esclusivamente sulla “fedeltà atlantica” e la nostra “attendibilità come fedeli alleati”, senza mai riuscire ad entrare nel merito. Ed il merito, badate, ancor prima che degli effetti di impatto ambientale, di riflesso sulla occupazione, di limiti e garanzie di stoccaggio di armamenti (atomici o no, chimici o no, ecc), riguarda la natura stessa della relazione di alleanza sottoscritta.

Anzitutto il fatto che essendo accordi internazionali essi, per quanto vengano concordati e sottoscritti da Governi in carica (v. la rivendicazione Berlusconiana), per essere attivati e spiegare la propria efficacia hanno bisogno della preventiva autorizzazione del Parlamento che, dopo un dibattito formale, ne approvi la natura e le condizioni. Il dibattito parlamentare è infatti l’unica forma di “controllo delegato” che sia riconosciuta e consentita, alla pur costituzionalmente affermata sovranità del Popolo (la quale ultima si esercita nei limiti e nelle forme stabilite dalla Legge), sugli accordi internazionali, i quali purtroppo, che piaccia o meno, non sono soggetti a referendum, per volontà costituzionale formalmente espressa.

E dunque, checché ne pensino esponenti di una improbabile sinistra, tutti acquattati a scaricare sulla volontà popolare una legittimazione del proprio comportamento pavido e timoroso di far emergere i contrasti nelle formazioni di Governo, ogni dissenso politico dovrebbe innescarsi per pura rivendicazione delle funzioni e prerogative parlamentari proprie delle Camere e dunque dalla costante vigilanza democratica sulla natura degli accordi sottoscritti e sulla evoluzione che si renda necessaria. Questa è una condizione di verifica democratica (e cioé di divisione dei poteri) in qualsivoglia Nazione voglia rivendicare la propria natura democratica.

Quanti ricordano ad esempio che molte volte il Congresso americano, pur soggetto ad un sistema politico presidenziale ben diverso e più invasivo delle prerogative parlamentari di quanto non sia la natura “bicamerale perfetta” del nostro ordinamento, ha negato il proprio “expedit” ad accordi già sottoscritti dal Presidente e dai suoi sottosegretari?

Gli accordi Nato, d’altra parte, non sono quei moloc insormontabili che vorrebbero farci credere: Infatti recita lo statuto della alleanza che quanto in esso stabilito è applicabile solo in quanto valutato dai Parlamenti dei Paesi membri, e di volta in volta, compatibile con le rispettive Costituzioni. Ogni azione militare, strategica o tattica, logistica od organica, che la Segreteria della Alleanza decidesse di intraprendere sul territorio di un altro Stato dovrà essere sottoposta al medesimo vaglio Parlamentare.

Ma qui scatta quella invereconda condizione di sudditanza psicologica dei nostri Parlamentari – senza purtroppo significative eccezioni, neppure a sinistra – e sottoscritta nei famosi “protocolli riservati” o di servilismo culturale verso il dominus di quella Alleanza e del sistema internazionale del potere, per cui non si sa costruire neppure un percorso costante di vigilanza sulle condizioni di alleanza, non si ha coraggio per pretendere le innovazioni suggerite dalla crescita della propria dignità nazionale, non si ha cuore per pretendere un dibattito parlamentare su qualsiasi innovazione venga richiesta o proposta.

E tutto perché? Forse e purtroppo perché i nostri Parlamentari tremano anche di fronte alla mera ipotesi che un qualsivoglia dibattito, anche il più misero e meschino, possa far emergere i criteri di costituzionali che osterebbero alla ratifica di un eventuale accordo, ed in conseguenza di ciò esso, pur ratificato dal Parlamento, il provvedimento potrebbe finire, come d’altra parte ogni Legge, alla valutazione della nostra Alta Corte e cadere sotto un suo giudizio di inapplicabilità per incostituzionalità manifesta.

Certo si tratta di un fatto mai accaduto nella nostra storia, ma esso è certamente prevedibile, nella dinamica propria della separazione dei poteri e della indipendenza delle funzioni, per il controllo di costituzionalità sull’esercizio dei poteri di qualsivoglia altra funzione del nostro ordinamento. Pensate ad esempio se, per accordo internazionale pur sottoscritto tra Governi e ratificato dal Parlamento, si stabilissero norme che, limitando di fatto i possibili controlli anticrimine, divenissero di fatto un avallo all’ampliamento delle attività delle organizzazioni internazionali di stampo mafioso garantendone la conseguente immunità ed impunità. Forse che in simili casi il controllo di costituzionalità promosso da un qualsiasi Parlamentare non avrebbe facoltà di esercitarsi?

E ancora, che cosa potrebbe accadere se il nostro Paese sottoscrivesse accordi, in sede governativa e Parlamentare, i quali, in violazione aperta della costituzione, consentissero con la esecuzione della pena di morte in luoghi del nostro territorio che godano di extraterritorialità diplomatica, come potrebbero essere una ambasciata o una base aerea? Forse i nostri Parlamentari, singolarmente presi, avrebbero diritto a rimanersene inerti?

Eppure abbiamo assistito a qualcosa di molto simile nel caso di Abu Omar, quando si è consentito addirittura che il senatore Cossiga dispiegasse tutti interi i suoi furori contro un Magistrato reo di ritenere illecito, in questo Paese che vede negata la possibile estradizione di qualsivoglia persona verso Paesi in cui siano previste la pena di morte e la tortura, il comportamento di uomini dei nostri servizi e di servizi stranieri teso ad evadere questa previsione costituzionalmente garantita, con la consapevolezza o meno dei nostri Governanti.

E allora è da qui che bisogna ripartire se non vogliamo che le apparenti “bufere politiche” nascondano soltanto un gioco delle parti in cui tutti, però tendono a sottrarsi alla vigilanza democratica ed al controllo di costituzionalità dei propri comportamenti. “Non disturbate il guidatore” è l’unica preoccupazione che sembra albergare in uomini che dovrebbero essere all’esclusivo servizio della Nazione e della Costituzione.

Come non pensare ad esempio al “drammatico vuoto parlamentare” che venne esercitato su quella significativa variazione al piano strategico Nato, relativo alle condizioni di intervento militare dei paesi membri, soggetti fino a quel momento, per l’art. 5, alla sola condizione di rappresaglia immediata a seguito di attacco sul “territorio” di uno di essi. Ove territorio indica qualsiasi soggettività nazionale come puo’ esserlo una ambasciata all’estero, una nave in acque o porti stranieri, un aereo in volo o su uno scalo estero, e non necessariamente dunque solo le due torri gemelle nel cuore di New York.

Bene, la astuta consapevolezza dei membri della Nato, sulla soggezione alle volontà parlamentari dei singoli Paesi membri ed alla verifica di compatibilità costituzionale di ciascuno di essi, indusse a non cambiare quell’articolo, ma ad inserire un nuovo comma in cui si prevedevano azioni ed interventi militari della Alleanza “anche in casi non articolo 5”. Una vera aberrazione giuridica, che fu lasciata tuttavia passare, si era agli inizi degli anni ’90, nell’assoluto silenzio degli organi di informazione e nella totale inazione di qualsivoglia Parlamentare per la valutazione parlamentare di un codicillo che di fatto stravolgeva gli inziali accordi sottoscritti. E fu così che si rese possibile quella vergognosa decisione del Governo presieduto dall’on D’Alema, passata come forma di “consapevole responsabilità per gli impegni di alleanza sottoscritti”, per cui si decise la azione militare in Kossovo e di consentire non solo alle forze alleate l’uso di basi militare situate nel nostro territorio per varare azioni di guerra, ma di partecipare direttamente ed attivamente alla decisione Nato di muovere guerra in un caso “non articolo 5”.

E non è finita. Basterà ricordare il Cermis, consumato sotto il primo Governo Prodi ed approdato sotto il Governo D’Alema alla scandalosa decisione di risarcire anticipatamente le vittime, in nome e per conto del Governo Statunitense, con cui si era siglato un accordo in tal senso. Poi però il Congresso americano – che ben conosce invece il concetto e l’esercizio della propria sovranità nazionale – si sarebbe opposto a tale forma risarcitoria, e finché non intervenne una sua mutazione di orientamento quell’obolo economico alle vittime pagato dal Governo italiano rimase una “servile accondiscendenza” dei nostri politici alle volontà del despota.

Ma non è finita. Perché in quella circostanza, dove tutti gli uomini di Governo e di Parlamento si affannavano a richiamare il “Trattato di Londra” del 1952 che rendeva non perseguibili i militari americani dai Governi sui cui territori essi avessero commesso qualsivoglia crimine, fu un Magistrato a ricordare ai nostri Parlamentari, assisi in una delle nostre pompose ed inutili Commissioni di inchiesta, quale sarebbe stato il loro compito e la loro funzione, Disse infatti il Procuratore di Trento, in audizione verbalizzata di quella Commissione, che “tutti i Paesi membri della Alleanza Nato – persino la Turchia si lasciò sfuggire, ad indicare un Paese che certamente veniva considerato ad un livello inferiore di democrazia compiuta, ma evidentemente ad un più alto livello del nostro quanto a cultura della propria sovranità ed indipendenza – avevano trovato modo e tempo per ridiscutere quegli accordi di Londra.”.

Accordi capestro, fissati nel lontano 1952 da un vincitore egemonico contro la dignità degli sconfitti (Germania) e di quelli che egli considerava i propri sudditi e vassalli (Paesi membri della Nato). E tuttavia accordi che erano stati rinegoziati progressivamente da tutti loro, con la sola eccezione dei nostri Governi e Parlamenti, che ponevano vincoli nuovi e condizioni di liberazione dalla condizione servile, senza che questo potesse essere inteso minimamente come segno di insofferenza alla fedeltà di alleanza. Una alleanza infatti si fonda sempre sulla pregiudiziale della “pari dignità”.

Ma come volete che ciò si avveri se, mentre pensiamo di aver diritto ad un referendum che la costituzione stessa ci vieta, ce ne stiamo zitti di fronte ad un Governo che lascia che l’Italia sia rappresentata, ai più alti vertici politicomilitari della Nato, da un esponente di Forza Italia, quando una simile funzione dovrebbe essere quella dove si dichiara e si sostiene la volontà Governativa del Paese? E’ questa la discontinuità dai Governi di destra che hanno preceduto l’attuale? E’ accettabile, o non è piuttosto ignobile, che si abdichi anche in questi ignoti passaggi istituzionale al proprio diritto di sovranità piena e di pari dignità?

Ovvero se lasciamo che il Giudice Spataro combatta da solo la sua battaglia contro la violazione dei Principi Fondamentali Universali pienamente recepiti dalla nostra Costituzione e se la veda da solo con poteri transnazionali che lo beffeggiano “non riconoscendone la autorità a giudicare e la legittimità ad intervenire”, noi non stiamo avallando una espropriazione di sovranità? E ciò accade senza che un Governo di sinistra, per nulla coinvolto in quelle vicende, consumate dalla destra, senta il bisogno di appoggiare la azione di un suo Magistrato, per un motivo di pura dignità nazionale e di rivendicazione di valori costituzionalmente irrinunciabili: Puro servilismo silente, altro che la inaffidabilità ed infedeltà atlantica di cui lo accusa strumentalmente la destra berlusconiana!!

Allora amici miei oggi assecondare qualsiasi progetto di referendum (che non ci compete come cittadini) o “rivolta popolare” tesa alla negazione della concessione di ampliamento della base di Vicenza (il solito Canarini ha appena detto “dovranno reprimerci”), piuttosto che impegnarci su ogni fronte perché sia riconquista una visibile ed indiscussa piena sovranità nazionale (quale che siano poi le scelte del nostro Parlamento), significherebbe solo assecondare la necessità del dominus di trovare legittimazione al proprio operato, spingendo gli avversari a sbagliare bersaglio e modalità di azione, dunque a cadere nella ennesima trappola mortale di apparire non legittimati, proprio quando vorremmo sostenere valori indiscutibili di indipendenza nazionale.

Il nostro obiettivo non è quello di evitare la repressione violenta, perché Gandhi diceva che piuttosto essa va provocata, ma con azioni nonviolente e proprio perché emerga la illegittimità delle azioni repressive poste in essere. Dovremmo quindi rilanciare ai nostri rappresentanti politici (certo, proprio con manifestazioni che partano dalla vicenda Vicentina, ma con la capacità di comprendervi tutte le altre citate e le infinite altre qui non dette, che comunque hanno a che vedere con le infinite stragi impunite della nostra storia), partendo dai singoli parlamentari locali della sinistra, e ponendo loro chiari messaggi di necessità e volontà sovrana perché si ridiscutano e si rinegozino, nelle sedi deputate, tutte le condizioni di assoggettamento che fanno di noi dei servi e non degli alleati.

Il nostro obiettivo è, o dovrebbe essere, se davvero il nostro obiettivo vuole essere “politico” quello di chiedere che un Governo di sinistra faccia le cose fondamentali di un Governo di sinistra, senza temere di essere equiparato a volontà rivoluzionarie (e poi perché la attesa e volontà di “rivoluzione” dovrebbero essere criminalizzate) di governi emergenti, come quello venezuelano, colpevoli solo di voler riaffermare la propria indipendenza dalle volontà straniere nello sfruttamento dell proprie risorse e nella affermazione della propria indipendenza.

Questa sì sarebbe la vera rivoluzione, perché ammonirebbe un Governo che si presenta come orientato ai valori della sinistra e lo sfiderebbe a rivelare il proprio volto, assicurandogli che è meglio sapere apertamente di essere governati da poltici lontani dalla nostra sensibilità che essere illusi e derisi da governi che fingono di essere animati dalla nostra stessa cultura, perché nel primo caso saremmo legittimati alla lotta politica più esasperata, mentre nel secondo saremmo solo e continuamente traditi dai nostri stessi alleati.

“Dagli amici mi guardi Dio, che dai nemici mi guardo io”, ed è un adagio sul quale politicamente potrebbe valere la pena riflettere.

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