La mafia di Barcellona Pozzo di Gotto

Con la mafia Barcellona vive sotto una cappa opprimente

Angela Gentile Manca
  L`8 gennaio 2007, anniversario dell`omicidio del giornalista Beppe Alfano, la madre dell`urologo Attilio Manca, barbaramente assassinato a Viterbo l`11 febbraio 2004, ha invitato i giovani di Barcellona Pozzo di Gotto a ribellarsi contro le organizzazioni politico-mafiose che opprimono la vita sociale e democratica della città siciliana.
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Non si può comprendere, se non si è provato personalmente, la rabbia che c’è, oltre al dolore, nelle persone che hanno subito un lutto a causa della mafia. Ve lo posso dire io che provo la stessa rabbia, la stessa indignazione, lo stesso sdegno che prova Sonia Alfano, una donna coraggiosa, nel vedere la passività delle istituzioni, che invece ci dovrebbero essere vicine.

Per Beppe Alfano c’è stato un processo, è stata emessa una sentenza, ci sono delle condanne, si sa con certezza che è un delitto di mafia, eppure, nonostante ciò, c’è ancora qualcuno che continua a fare illazioni, dicendo che non è morto per mafia.

La stessa cosa avviene per mio figlio Attilio.

Credo che la maggior parte di voi conosca il caso di mio figlio, ucciso a Viterbo con due iniezioni letali. Ucciso come avviene negli Stati Uniti per i pluriomicidi. Solo che negli Stati Uniti, quando avvengono queste esecuzioni, ci sono proteste, manifestazioni e grande indignazione da parte dei cittadini.

Mio figlio Attilio era una persona onesta, sensibile, che si stava costruendo con le sue sole capacità in una splendida carriera, sicuramente non era un mafioso, ma è stato ucciso in modo crudele e spietato come un pluriomicida.

Quando i mezzi di comunicazione diffondono la notizia che qualcuno viene giustiziato con una iniezione letale, voi non potete immaginare cosa provo! Qualche tempo fa il TG diceva che è un metodo crudele perché l’agonia è lunga e le sofferenze sono atroci. Eppure nessuno si è indignato per la morte di Attilio, né le istituzioni, né la cittadinanza. Anzi, alcune persone, dopo averci ingannato, dicendoci che era morto all’istante per aneurisma, hanno cominciato a diffondere la notizia che era morto per overdose.

Sono delle belve, che prima uccidono e poi dilaniano le carni delle loro prede!

Noi genitori, dopo qualche giorno, abbiamo capito che si trattava di omicidio dall’atteggiamento di alcune persone e ci siamo resi conto che c’entrava la mafia di Barcellona. Alcuni personaggi si sono adoperati, sin dal primo istante, ad insabbiare e a depistare per non farci capire che si trattava di omicidio. Dicevano in giro che noi stavamo infangando la città di Barcellona, perché la mafia a Barcellona non esiste.

Qualcuno, addirittura, ha detto: “Cerchiamo di salvare il salvabile”. La stessa frase che è in uso nel linguaggio mafioso: “I morti non si difendono”.

Che cosa vuol dire “salvare il salvabile”? Forse è la stessa cosa che voleva dire l’ex Ministro Lunardi: “Bisogna saper convivere con la mafia”.

All’inizio non abbiamo capito che motivo avevano per uccidere un ragazzo serio, onesto come Attilio. Però il 20 febbraio 2005, esattamente un anno dopo, il giornale “Gazzetta del Sud” riportava la notizia che Bernardo Provenzano aveva avuto un tumore alla prostata ed era stato visitato in uno dei suoi rifugi da un urologo siciliano.

Stranamente Pastoia, il pentito che ha riferito ciò, si è suicidato!

In quell’istante abbiamo capito perché nostro figlio era stato ucciso: aveva visitato provengano. Altri pentiti hanno parlato di un urologo, ma fino ad oggi non si è trovato, o pere lo meno, nessuno ha fatto dlele indagini serie per cercare di capire chi è questo urologo.

La Procura di Viterbo, non so se per superficialità, per incompetenza o per altro, non si è mai voluta occupare seriamente di questo caso. Non ha neanche trovato l’ultima telefonata di Attilio, né quelle fatte a noi dalla Costa Azzurra.

Provenzano ha soggiornato a Barcellona e di questo si sente parlare da diverso tempo e con molta probabilità è stato pure a Tonnarella (comune di Furnari), ma nessuno parla, logicamente, di ciò. Tutto viene messo a tacere. Provenzano è stato anche a Messina dal boss Michelangelo Alfano, dove si è presentato vestito da vescovo. Anche Michelangelo Alfano si è suicidato; morto come mio figlio, Pastoia e come tanti altri!

È ridicolo come i giornalisti ci hanno descritto la vita condotta da Provenzano durante la sua latitanza. Ci hanno fatto un quadretto bucolico: abitava in un casolare, accudito da un pastore, cibandosi di ricotta e cicoria. Ciò è un’offesa per l’intelligenza dei cittadini onesti.

Provenzano si è quasi sicuramente consegnato perché si doveva curare. Non ha vissuto durante la sua latitanza, in un casolare, ma in ville superprotette, con telecamere e guardie del corpo che lo proteggevano. Quindi, non era un povero contadino come ci è stato fatto credere, ma un grosso mafioso sanguinario, protetto dai politici corrotti, magistrati compiacenti, forze dell’ordine deviate. Nonostante ciò, non è mai venuto fuori il nome di un politico né per Riina né per Provenzano, né per altri latitanti o boss.

Come è possibile vivere quarant’anni da latitante senza avere grosse protezioni?

E poi, come mai proprio il figlio di Provenzano ha ottenuto l’insegnamento in Germania, quando tanti ragazzi meritevoli incontrano notevoli difficoltà per trovare un’occupazione? Come mai i mafiosi e i loro parenti fanno rapide carriere ed occupano posti di prestigio?

A Barcellona tutti o quasi tutti i commercianti pagano il “pizzo”, ma la vergogna più grande è quella che alcuni di loro oltre a pagare il pizzo partecipano alle riunioni conviviali con i mafiosi.

Come abbiamo letto nell’ultimo numero di dicembre 2006 nel settimanale “Centonove” c’è stata una riunione conviviale nell’“Azienda Salamita”. A questa riunione oltre ai mafiosi hanno preso parte alcuni insospettabili commercianti di Barcellona e altre persone di cui, non so per quale motivo, il giornalista non ha fatto menzione. Quindi, non solo a Barcellona si paga il pizzo, ma addirittura alcuni commercianti siedono a tavola con i mafiosi. Pertanto, io mi rivolgo soprattutto a voi giovani, cercate di non accettare passivamente questa situazione! State attenti quando andate a votare, valutate attentamente i candidati che sono presenti nelle liste.

La parola “candidato” deriva dal latino “Candidatus” che vuol dire vestito di bianco poiché i candidati romani indossavano una toga bianca in segno di purezza morale.

Quanti dei nostri politici potrebbero indossare una toga bianca?

Quindi, uniamo le nostre forze, lanciamo un forte segnale a “Cosa nostra”, reagiamo a questa schiavitù, ribelliamoci a questi delinquenti, che fanno vivere la città sotto una cappa opprimente.

Ricordatevi che dove non c’è libertà, non c’è sicurezza e prospettiva di futuro.

Barcellona Pozzo di Gotto, 8 gennaio 2007

Angela Gentile Manca

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