Migranti in Italia. A quanto pare, il governo non pensa di abolire il permesso di soggiorno subordinato a un contratto di lavoro. I padroni non vogliono. Uomini politici raffinati pensano al massimo di prolungarne la durata… Il risultato sarà che il ricatto del lavoro, del basso salario, dello sfruttamento intensivo nelle fabbriche, nelle cooperative, nelle aziende pubbliche, nei cantieri, nei campi avrà più tempo per essere organizzato. Padroni pubblici e privati, che non hanno mai finto di essere amici se non di se stessi, potranno aumentare i loro profitti. E i funzionari delle questure avranno più tempo a disposizione per applicare la loro discrezionalità. I funzionari delle questure non sono molto amici.
Ma qui si annunciano autentici colpi di genio. Il permesso per ricerca lavoro o l’esotico sponsor individuale consentiranno di aumentare la possibilità di ingresso legale in Italia! L’idea fissa di stabilire dei flussi e di volerli poi governare perpetua così da una parte la messa in scena dell’«ingresso», quando tutti sanno che le quote sono una via per regolarizzare chi è già in questo paese, mentre dall’altra parte, visto che il contratto di soggiorno non viene toccato, chi perde il lavoro diventa clandestino dopo ben sei mesi o addirittura un anno. E che dire dell’incidenza scarsa o nulla dei disegni di legge sulla cittadinanza o sul lavoro schiavistico dei migranti? Chi ha pensato cose del genere non è amico nemmeno di se stesso: che sia amico dei CPT?
Se non si prendono troppo sul serio i tremebondi propositi di superamento del ministro Ferrero, ma si ascolta la sottile e feroce voce del ministro Amato si sente chiaramente dire che: i CPT non saranno chiusi, ma cambieranno nome diventando luoghi per l’«accoglienza» e il «rimpatrio volontario»; continuerà il processo di esternalizzazione delle frontiere spostandole per esempio in Libia, patria dei diritti dell’uomo e del cittadino; la Commissione ministeriale organizzata dallo stesso ministero degli interni è inutile, perché mentre è ancora al lavoro – e dice spesso che i CPT sono strutture di reclusione – già viene annunciata la costruzione di nuove strutture di reclusione. I CPT non sono luoghi amici.
E perché non fare di tutto questo insieme di iniquità un affare? Detto fatto. In primo luogo basta non dire che il trasferimento del TFR colpisce soprattutto i migranti i quali, data la loro mobilità, hanno problemi enormi di recupero dei contributi. I migranti vanno sempre bene quando finanziano l’Inps. E poi? Poi basta far pagare 30 € a ogni migrante per ogni volta che deve rinnovare il permesso di soggiorno, dal quale, sponsor o non sponsor, dipende la sua permanenza in Italia. Il risultato è intanto che si finanziano le Poste Italiane SpA (un’azienda privata) con i soldi dei migranti. A questo punto però il fantomatico ingresso dei migranti e il rinnovo dei permessi diventano appetibili per tutti e un’ulteriore occasione di inestricabile confusione. Sembra che la ricevuta dell’ufficio postale varrà come cedolino… Sembra che per ogni famigliare a carico si dovranno pagare i 30 € per il rinnovo… Sembra che le Poste non sappiano ancora niente di ciò che devono fare… Sembra che, prima di arrivare alle Poste, qualcuno – per esempio i patronati di CGIL, CISL e UIL che stipulano accordi in questo senso – avrà già provveduto a preparare la documentazione. Gratis? Sembra infine che, posseduti contemporaneamente dal fantasma del mercato del lavoro e dalla logica del governo dei flussi, i suddetti patronati diventeranno agenzie di mediazione internazionale della forza lavoro migrante, funzionando da sponsor per il migrante che vuole venire in Italia. È un servizio sindacale integrato all’altezza dei tempi: dalla produzione al consumo di forza lavoro. Chi cerca un amico trova uno sponsor.
C’è poi chi, come i richiedenti asilo e i rifugiati politici, rimane abbandonato alla discrezionalità delle commissioni territoriali. È vero che ci sarebbe bisogno di una legge organica in materia d’asilo. È vero che magari era persino compresa nel leggendario programma di governo. Tuttavia, ora come ora, è molto più comodo aspettare e affidarsi alle direttive europee. Nel frattempo i richiedenti asilo lavorano e sono clandestini come molti altri migranti. Conviene a tutti, tranne che a loro. Non ci sono più amici e nemmeno sponsor disponibili.
Non è sempre semplice trovare degli amici fidati. È però anche evidente che la ripresa dell’iniziativa del movimento dei migranti e antirazzista deve fare i conti con quanto successo negli ultimi mesi. Differenze significative sono maturate. La giornata transnazionale di lotta dei migranti del 7 ottobre è stata un’occasione importante e tuttavia non sufficientemente valorizzata se si tiene presente che molte delle manifestazioni di amicizia di cui abbiamo parlato si inseriscono in una tendenza europea a restringere la libertà di movimento e di circolazione dei migranti. È discutibile l’utilità di manifestazioni nazionali che sono tutt’al più eventi locali, come non ha senso rimanere legati alla sola dimensione territoriale dell’intervento e dell’organizzazione. Questa dimensione esiste ed è significativa: basta guardare cosa succede per esempio a Verona o a Bologna, alla manifestazione di Caserta, o a quelle nel bresciano. Allo stesso tempo non si possono non vedere le migliaia di migranti hanno manifestato il 4 novembre scorso. Ripetere ossessivamente le parole d’ordine che ci hanno portato in piazza negli ultimi due anni, non può essere però la risposta a una mancanza di autonomia e di chiarezza che blocca ogni possibile iniziativa. Riaprire il dibattito a partire dalle caratteristiche della nuova fase politica ci pare necessario.
È una modesta proposta, sappiamo che forse i migranti non hanno amici, ma nella loro condizione materiale non sono poi così soli. Come molti altri possono contare soprattutto su se stessi.
Tavolo migranti, 9 dicembre 2006