Gli indigeni quechua di Sarayacu presenteranno oggi alla Corte interamericana dei diritti umani (Cidh), con sede a San José (Costa Rica), una richiesta di annullamento del contratto che autorizza l’impresa argentina ‘Compañia General de Combustibles’ (Cgc) allo sfruttamento petrolifero nel cosiddetto ‘Blocco 23’ (‘Bloque 23’), una porzione di giungla nella provincia di Pastaza estesa per 200.000 ettari, gran parte dei quali si trova in territorio indigeno.
Lo ha riferito l’avvocato Mario Melo, legale della comunità nativa di Sarayacu, composta da circa 350 famiglie che vivono senza energia elettrica nelle selve dell’amazzonia ecuadoriana.
La richiesta si basa sul mancato compimento delle misure preventive dettate dalla stessa Cidh nel luglio scorso affinché lo Stato garantisse la sicurezza della popolazione civile e l’integrità ambientale del territorio.
Il caso – ha ricordato Melo – ha avuto inizio nel 1996 quando lo Stato ecuadoriano sottoscrisse con la ‘Cgc’, associata al colosso statunitense degli idrocarburi ‘Chevron-Texaco’, un contratto per la prospezione petrolifera nel ‘Blocco 23’, senza consultare gli abitanti. Le operazioni iniziarono nel dicembre 2002 e da allora la richiesta degli indigeni di interrompere i lavori è passata attraverso i tribunali ecuadoriani e la Cidh, che lo scorso anno riconobbe i diritti dei quechua.
A più riprese, il governo del presidente Lucio Gutiérrez ha confermato la validità del contratto con la ‘Cgc’, autorizzata ad effettuare test di sismicità, utilizzando esplosivi che minacciando di arrecare danni molto gravi all’ecosistema e all’integrità ambientale del territorio.
Dopo una sollevazione indigena, nel 1992 l’allora presidente Rodrigo Borja aveva dovuto riconoscere i diritti degli autoctoni sulle loro terre ancestrali; ciononostante, denunciano i quechua, a oggi si è fatto ricorso anche alla militarizzazione dell’area per spingere i locali ad abbandonare ogni resistenza.[FB]
Agenzia Misna, 24/9/2004