Il Sud in fiamme – Vibonese

I paesi infami dove rapiscono Gesù Bambino

Antonello Mangano
  Una serie di furti misteriosi colpiscono in estate le chiese del Vibonese: sono state rubate numerose statue sacre, in pieno giorno e senza apparente motivo. Da anni uno stillicidio di furti si affianca ai “normali” attentati contro gli amministratori, le imprese, i luoghi di aggregazione e persino le parrocchie. Perché avvengono questi furti e cosa rappresentano? Come reagisce la Chiesa? Sono forse il segnale di un pezzo di Sud disperato ed isolato che agli italiani non interessa più?
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Potremmo raccontare delle automobili che esplodono, dei proiettili imbustati e spediti, delle teste di capretto sulla soglia delle case, delle croci di vernice sul cofano dell’auto e di tutti gli altri attentanti che scandiscono la vita della Calabria centro-meridionale al ritmo costante di uno ogni due giorni, così come dei cadaveri dati alla fiamme sulle spiagge (Briatico), delle colonne di fumo che si innalzano sinistre ad ammonire e terrorizzare, dei consigli comunali sciolti d’autorità dal ministro degli Interni, oppure degli omicidi in pizzeria all’ora di pranzo (Parghelia) o sulle panchine del lungomare al tramonto (Locri), o ancora dello stillicidio di azioni contro qualunque attività economica o semplicemente sociale: cantieri, negozi, enti locali, persino centri di accoglienza della chiesa o comunità di recupero.

Potremmo aggiornare la triste contabilità delle “intimidazioni” (trecento, quattrocento, cinquecento… dall’inizio dell’anno, da due anni a questa parte…) e chiedere conto per l’ennesima volta di tanto strombazzare di emergenza “immigrati” e non di quella “italiani”, che in larghissima parte in queste terre desolate del Sud sono protagonisti di una violenza cieca, assassina, brutale; ma anche talmente costante da apparire agli abitanti del luogo, ammorbati dal fatalismo del contadino, naturale ed immodificabile quanto una grandinata od un nubifragio.

 

Adesso, però, vogliamo raccontare di un fenomeno unico ed interessante: il furto/rapimento in serie della Madonna, di Gesù Bambino, di San Francesco di Paola e di altri miracolosissimi santi.

“Pizzoni. Il parroco, informato del furto del Bambinello tenuto in braccio dalla Madonna del Rosario, ha immediatamente denunciato l`accaduto alla locale stazione dei carabinieri di Vazzano. In seguito, don Renato non ha voluto dare clamore e pubblicità all’ennesimo furto sacrilego nel Vibonese, ma è rimasto scosso e addolorato per la triste e oscura vicenda che offende profondamente il sentimento religioso e la memoria storica di un`intera comunità”.

La cronaca locale abbonda di notizie degne del Caribe colombiano di Garcia Marquez, ma con molta meno poesia.

 

Si trattasse di un caso isolato, potremmo pensare allo scherzo di cattivo gusto giocato da qualche banda di giovinastri annoiati dal clima plumbeo di paesi – fantasma, abitati in grande prevalenza da anziani e ragazzini.

Eppure da alcuni anni i furti di statue sacre nelle Chiese della zona sono continui: “il furto sacrilego di Pizzoni segue quelli compiuti a Capistrano, Maierato e San Costantino Calabro e precede di qualche giorno quello avvenuto a Spilinga.

All`interno della chiesa parrocchiale di Capistrano, alla vigilia di ferragosto, è stata prelevata la statua del Bambino, che era in braccio alla Madonna della Montagna, risalente al diciottesimo secolo e particolarmente venerata dalla comunità locale. A distanza di pochi giorni si è verificato il secondo trafugamento, nella chiesa di Maria Santissima della Pietà di Maierato, dove è stata prelevata una reliquia in argento raffigurante l`Addolorata.

Il terzo furto è avvenuto a San Costantino Calabro, nella chiesa di San Rocco, dove è stata portata via una piccola statua della Madonna del Carmelo, risalente al diciottesimo secolo. A Spilinga, invece, è stata rubata una statuetta in gesso di San Francesco di Paola che si trovava all`interno di una edicola votiva posta lungo la strada all`ingresso del paese”.

 

Chi non vive da queste parti ed apprende tali notizie si mostra stupito. Come possono avvenire – ed in pieno giorno – questi furti? Siamo in paesi dove “si conoscono tutti”, dove lo Stato lascia nei fatti il controllo del territorio al boss del luogo, dove il sentimento religioso, per quanto superstizioso e reazionario, è l’unico collante di comunità altrimenti in preda all’anomia ed alla disgregazione. E, dunque, perché?

Le ipotesi sono sostanzialmente due. La prima è quella dell’estorsione, una nuova fantasiosa versione di una pratica fiorente nella zona e denunciata da pochi isolati eroi. Una sorta di rapimento di Gesù Bambino. Altra ipotesi, più credibile, è quella del mercato delle opere sacre. Molte di esse hanno un valore artistico relativo, ma sarebbero appetibili ai rozzi salotti di arricchiti dai gusti grossolani, per i quali non è più di moda avere sul comò un pitone esotico bensì un bambinello ligneo scolpito dalla mano malsicura di un artigiano vissuto alcuni secoli fa.

 

 

Moderata durant, etiam mafia

 

Appare chiaro che la chiesa locale agisce troppo poco contro la mafia, oltre una indignazione di facciata ed un richiamo a valori comuni evidentemente scomparsi. Troppo silenzio, evidenziato anche dalla “rumorosa” chiesa di Locri.

Moderata durant (le cose moderate sono quelle durevoli, traduzione libera) è un nome di un quartiere di Vibo Valentia che ha il compito di esprimere lo spiritus loci così come incarnato nei secoli da governatori romani, feudatari parassiti, baroni crudeli e vacui, dal podestà del Fascio Luigi Razza (celebrato da vie, piazze, dallo stadio e da una brutta statua), da funzionari della Repubblica e della Cassa del Mezzogiorno e da ultimo dalla Chiesa che nel quartiere decideva di costruire la nuova parrocchia “Regina Pacis”.

È il 10 settembre del 2005. Ad appena ventiquattro ore dalla cerimonia ufficiale della posa della prima pietra alla presenza del cardinale di San Paolo Hummes (uno dei candidati alla successione di Wojtyla), la ‘ndrangheta si incaricava di una nuova e più spettacolare celebrazione: il tentativo di incendio della baracca in alluminio del cantiere, annerita dalle fiamme. Indignazione e tanto silenzio.

La capitale spirituale della provincia è il minuscolo borgo di Paravati: poche case sparse, facciate di mattoni senza intonaco, solette catramate, pilastri col ferro sporgente.

Qui nel 1944 la veggente Natuzza Evolo vide la Madonna, che venne a trovarla direttamente nella sua abitazione. “Vergine Santa, come vi ricevo in questa casa brutta?”, disse. A quanto pare fu la prima cosa che le venne in mente e non sapeva che in poche parole aveva espresso la vera religione della sua comunità: il culto dell’apparenza, la liturgia della finzione, il senso di colpa del cafone che si ritiene sempre in difetto nei confronti di un superiore. “Non ti preoccupare”, avrebbe risposto la Vergine, ed era una risposta baronale.

Da allora furono pellegrinaggi ininterrotti, contatti frequenti con l’aldilà, la nascita della fondazione “Cuore Immacolato di Maria Rifugio delle Anime”, visite di disperati alla ricerca del miracolo, dell’intervento ad personam, della grazia su richiesta, di una divinità che ci faccia il favore, tale e quale un deputato dell’Udeur.

Ed infine il progetto di “Villa della Gioia”, una grande struttura capace di coniugare le esigenze spirituali della religione di Cristo con quelle più prosaiche dell’edilizia calabrese.

Che tutt’intorno si muoia, si fugga disgustati, si viva un tempo vuoto scandito dalle deflagrazioni sinistre della `ndrangheta e dalle partenze senza sosta dei nuovi emigranti, che si paghi il pizzo alla criminalità più ottusa e violenta del mondo occidentale sono tutti elementi che non fanno parte di una cosmogonia superstiziosa fatta di liturgie noiose, processioni lente, campane funeree, feste angoscianti, interventi miracolosi, superstizioni millenarie tra cui primeggiano le richieste fantasiose alle innumerevoli Madonne drappeggiate di bianco e di celeste, discendenti dirette delle dee pagane del grano e della terra.

Ora siamo arrivati al “furto della Madonna”. Ma oltre le dichiarazioni di facciata all’indomani del “delitto eccellente”, a chi importa di questa terra senza pace che non è né primo né terzo mondo?

Ultima nota. Prima che un assessore di paese rispolveri la retorica sempre presente dell’offesa alle nobili tradizioni della sua comunità (che, manco a dirlo, ha dato i natali a “illustri professionisti e uomini di cultura”), chiariamo che l’“infame” del titolo non è un insulto ma una citazione letteraria.

“Addio Calabria infame / L’occhio del Mitra / è più preciso / del filo a piombo / della Rinascita”, scrisse nel ’64 il grande poeta Franco Costabile, calabrese e dimenticato. Li chiamarono i versi arrabbiati di un meridionalista deluso, erano una lucida profezia.

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