Che si tratti in qualche modo del mantenimento della pace è indubbio. Ma quale pace? quella periferica nel sud del Libano fra Israele e Hezbollah o la pace in Palestina fra israeliani e palestinesi, ossia fra lo stato di Israele e quella entità che a giudizio consolidato della «comunità internazionale» costituisce sicuramente già il nucleo dello stato arabo-palestinese? Quale dovrebbe essere il ruolo di Europa e Italia riguardo a ciascuna di queste «paci» o specie di pace? In questi giorni si parla molto della pace nel Libano. Si parla poco, e comunque molto meno, della pace in Palestina. Avendo ascoltato ma non letto il comunicato, ho l`impressione che nel recente incontro fra il Ministro degli esteri di Israele e il nostro non se ne sia parlato con la precisione e il costrutto adeguati alla gravità del conflitto arabo-israeliano e allo stallo che ne caratterizza la trattazione.
«Europa un po` vile» ha bene scritto Rossana Rossanda su il manifesto del 24 scorso. Viste le ultime notizie, sarà forse indotta a ridurre in qualche misura il grado della viltà denunciata. Se però vogliamo dirla tutta, anche se qualcuno sosterrà che bisogna andare nel Libano senza se e senza ma, restano altre «viltà» da constatare (per stare alla parola scelta da Rossana Rossanda), e che sono dell`Europa, degli Stati uniti e della «comunità internazionale» tutta intera, impersonata, se vogliamo, anche dalle Nazioni unite. E` lo scarso coraggio che si manifesta quando nel negoziare, come l`Italia ha lodevolmente e abilmente fatto con larghezza, e come la Francia avrà pure fatto in qualche misura, non si evidenziano o non si evidenziano a sufficienza due cose a mio giudizio capitali.
Una è che le parti fra le quali la forza è accettata e va a interporsi, parti identificate nella 1701 nello stato di Israele e nel da tempo fatiscente (causa noti eccessi di Israele) Libano, non sono soltanto quelle due. E` parte in causa anche Hezbollah, il vero avversario di Israele nella guerra scatenata senza esitazione da Olmert coinvolgendo implacabilmente il territorio e la popolazione del Libano. Eppure, di Hezbollah non si dice, né nella risoluzione 1701 né dai vari governi impegnati, tutto quello che andrebbe detto, pro e contro.
Il secondo punto, e il più importante, è che quando si parla di Nazioni unite e di forze di interposizione in scambi indiretti o diretti con Israele sarebbe doveroso tenere presente che Israele ha non solo violato per decenni risoluzioni e decisioni Onu ma persegue ormai da tempo metodi talmente unilaterali nei suoi rapporti con i palestinesi (escludendo per di più non soltanto le Nazioni unite e l`Europa ma anche, e ancor più fermamente, lo stesso diritto internazionale) che nessuno pensa di suggerirgli lo spiegamento di una forza Onu di interposizione là dove sarebbe stata da decenni indispensabile, ossia in Palestina. Ciò allo scopo di tenere divisi, meglio e più imparzialmente di come fa il muro unilateralmente edificato, il territorio di Israele da tutti i territori destinati allo stato arabo-palestinese. Quale migliore occasione che quella della attuale crisi, quando il governo di Israele è interessato allo spiegamento della forza Onu di interposizione, per dire a Olmert: – «sì, ci sto, ci stiamo; alla condizione che si pensi pure, e presto, a una forza d`interposizione e di garanzia per Gaza e per la Cisgiordania».
Il non averlo fatto, o il non farlo subito, è a mio avviso una «viltà» ancora più grande di quella manifestata per qualche tempo (e ancora in parte persistente) dall`Europa, e lamentata da Rossanda.
L`opportuno richiamo, nel paragrafo 18 della risoluzione 1701, di alcune delle rilevanti risoluzioni «territoriali» dello stesso Consiglio di sicurezza (242, 338, 1515), è assolutamente inadeguato ai fini di un impegno delle Nazioni unite riguardo al dispiegamento di una forza di interposizione e garanzia in Palestina, come quella qui indicata.
Insomma, un punto dev`essere ben chiaro. Promuovendo l`interposizione nel Libano, le Nazioni unite, l`Italia, la Francia e l`Europa fanno un gran favore a Israele insieme con il Libano. In cambio, un impegno esplicito di Israele ad accettare una interposizione tipo Unifil in Palestina (ma più seria di quella che ha operato in Libano sin qui) sarebbe il minimo da chiedere da chi si accinge a inviare i propri soldati nel Libano con i rischi e le spese che l`operazione comporta.
Qualora non lo si chiedesse e ottenesse, fra l`altro, la parte araba del conflitto mediorientale – quella, circoscritta, dei palestinesi, e quella, allargata, di Hezbollah, eccetera – potrebbero erroneamente ritenere, contrariamente alle lodevoli, dichiarate intenzioni dei governi impegnati nella missione Onu che la promozione e l`accoglimento dell`autorizzazione contenuta nella 1701 siano opera di governi non «equidistanti» e imparziali.
Il Manifesto, 29 agosto 2006