Parte la campagna internazionale di pressione della Clean Clothes Campaign nei confronti della A-One e delle imprese committenti per la risoluzione della vertenza in corso da più di sei mesi nell`impresa coreana. I 255 lavoratori ingiustamente licenziati o costretti a dimettersi con la forza lo scorso settembre 2005 dalla A-One, impresa operante nella Export Processing Zone (EPZ) del Savar in Bangladesh, hanno il diritto di essere reintegrati in azienda e hanno il diritto di eleggere un proprio consiglio di fabbrica, nella piena legittimità della legge vigente nelle EPZ dal 2004.
Chiediamo alle imprese committenti Coin, Tessival, C&A e Target di:
– lavorare con Tchibo e Miles per applicare l’accordo raggiunto il 7 marzo 2006, incluso il reintegro di tutti i lavoratori licenziati e costretti alle dimissioni
– informare ufficialmente la A-One che il rifiuto di attenersi all’accordo avrà come esito la cessazione degli ordini attuali e futuri mentre il raggiungimento dell’accordo consentirà alla A-One di venire considerata prioritariamente nella lista dei fornitori
– assicurarsi che i lavoratori ricevano le spettanze pendenti dal settembre 2005
– contattare Bepza (Government of Bangladesh and Export Processing Zone Authority) e Bepzia (Bangladesh Export Processing Zone Investors Association) per chiedere che assicurino le condizioni per il raggiungimento di un accordo pacifico alla A-One e lavorino per la piena attuazione della legge in vigore dal 2004 nelle EPZ
– Inviare copia delle comunicazioni alla Clean Clothes Campaign
La risoluzione del caso A-One è più che mai urgente date le recenti proteste dei lavoratori avvenute in Bangladesh che hanno messo in luce la situazione disperata del settore tessile nel paese. Il caso mostra quanto la legge, le autorità locali e gli imprenditori stiano ostacolando il miglioramento delle condizioni di lavoro e la formazione di sindacati liberi dentro le imprese tessili in Bangladesh. Dopo le ultime settimane di protesta, che hanno avuto per conseguenza anche la distruzione della mensa della A-One, molte organizzazioni hanno richiesto alle autorità di investigare e affrontare le cause alla radice dei disordini.
La Clean Clothes Campaign ritiene che le cause siano da ricercare nella mancanza del rispetto dei diritti dei lavoratori a formare e iscriversi al sindacato liberamente e a eleggere proprie rappresentanze sindacali.
Il fallimento nell`applicazione della legge nelle Zone Speciali per L`Esportazione e nell`implementazione significativa dei codici di condotta quando si tratta di libertà di associazione sindacale, orario di lavoro e salari dignitosi insieme alla non volontà delle imprese committenti ad agire concretamente, rapidamente e collettivamente di fronte a vertenze serie come questa, sono da considerarsi tra le cause primarie dei gravi disordini in corso.
I Fatti
Nel febbraio 2005 i lavoratori avevano eletto alla A-One un consiglio di fabbrica di 15 persone (Workers Representation and Welfare Committee – WRWC), com`era loro diritto secondo la legge vigente nella EPZ del Savar dal 2004. Il WRWC era stato approvato dalla Autorità della Export Processing Zone (BEPZA) il 4 aprile del 2005 e aveva portato in discussione alla direzione della A-One 13 punti da migliorare all’interno della fabbrica.
Il 18 agosto la direzione A-One aveva concordato su 12 delle 13 richieste sottoposte. Subito dopo le reali intenzioni dell’azienda sono divenute chiare. A metà settembre la A-One ha cominciato a licenziare illegalmente i lavoratori e i membri del comitato: il 10 settembre sono stati licenziati 47 lavoratori mentre 9 membri del WRWC ricevevano minacce di morte per forzarli a dare le dimissioni; l’11 settembre, sono stati licenziati altri 80 lavoratori e il 10 di ottobre ulteriori 119. L’azienda non aveva pagato quanto dovuto ai lavoratori licenziati.
All’inizio di Ottobre del 2005 il Consiglio di Fabbrica aveva chiesto alla Clean Clothes Campaign (CCC) di contattare le imprese e le autorità bengalesi, incluse Bepza e Bepzia (Bangladesh Export Processing Zone Investors Association). Il WRWC era sostenuto da due federazioni sindacali tessili bengalesi NGWF e BIGUF, dal Bangladesh Center for Worker Solidarity e dal Solidarity Center Bangladesh.
La CCC aveva contattato le imprese committenti della A-One: le imprese tedesche Tchibo e Miles, le imprese italiane Coin e Tessival e l’impresa olandese C&A. La CCC inoltre aveva scritto anche direttamente alla A-One, al Bepza, al Bepzia e a varie autorità governative. Anche il WRWC aveva scritto lettere a tutti i committenti, alla direzione A-One e al Bepza, che rifiutarono di incontrarli.
Da allora le CCC tedesca, italiana e olandese con il segretariato internazionale, insieme ad altri gruppi, sono stati costantemente in contatto con le diverse imprese coinvolte; si sono tenuti diversi incontri tra la direzione della A-One, alcuni committenti (Tchibo e Miles), i lavoratori e i sindacati locali e internazionale (ITGLWF). Sebbene alcune imprese, in particolare la Tchibo, abbiano fatto sforzi concreti e abbiano ufficialmente richiesto alla A-One di reintegrare tutti i lavoratori illegalmente licenziati o costretti alle dimissioni (mentre facevano presente che un rifiuto avrebbe avuto conseguenze negative per gli ordini futuri e invece il reintegro avrebbe favorito la A-One come fornitore preferito), tali richieste fino ad oggi non sono state esaudite.
Per inviare le lettere di protesta alle imprese andate su
http://www.abitipuliti.org:8080/abitipuliti/azioni/A-One/azione
Tutte le informazioni sul caso potete trovarle su
http://www.abitipuliti.org:8080/abitipuliti/azioni/A-One/index_html