America latina

Messico: venti di rinnovamento alla vigilia delle elezioni politiche

Jeshua Valentini
  Messicani al grido di guerra. Ormai siamo giunti a circa due mesi dalle elezioni presidenziali ed ancora i sondaggi sono indecisi tra Andres Manuel Lopez Obrador candidato del PRD (dal 36% al 32%) e Felipe Calderon candidato del PAN al (dal 41% al 30%), mentre Roberto Madrazo del PRI risulta intorno al 26%, Patrizia Mercado del PASCA al 3% e Roberto Campa del PNAL intorno all’1%.
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Senza dubbio queste elezioni potranno essere decisive per la storia del Messico, soprattutto per gli sviluppo futuri; se dovesse vincere ancora il PAN (il Presidente della Federazione, Fox, eletto nel 2000, è esponente di questo partito che ha interrotto il dominio del partito-stato, il PRI, al potere fino ad allora da 71 anni), potrà voler dire che avrà la reale possibilità di aprire un ciclo che potrebbe scalzare definitivamente il PRI; se dovesse invece vincere Lopez Obrador con il PRD sarebbe fin troppo facile individuare i motivi della vittoria con il suo trascorso recente, molto più che positivo, come Governatore del Distretto Federale, sicuramente però il sentimento popolare anti-priista potrebbe aiutarlo. Se invece la vittoria andasse a Madrazo, vorrebbe dire che il Cambio indetto nel 2000 dal PAN non è stato effettuato ed ha tradito le aspettative della popolazione e che quindi la unica sicurezza sarebbe in questo caso il ritorno alla vecchia e certa politica.

Ovviamente nelle prime due ipotesi il rischio di una implosione del PRI sarebbe probabile, soprattutto se insieme alla sconfitta delle presidenziali, si dovesse riscontrare un risultato negativo alle contemporanee elezioni politiche. Di certo il Governo del Presidente Fox, non ha mantenuto le promesse, se non limitatamente, per quanto riguarda la costruzione di un minimo stato sociale, pressoché assente prima in Messico; ma la grande decisione è stata quella del modus operandi del Governo panista, che per nulla si è discostato dal precedente metodo priista e soprattutto nella mancata sostituzione delle persone nei punti cardine dei ministeri e della vita economica e politica del paese (è infatti possibile attuare una sorta di spoil system, a tutti i livelli dell’amministrazione, che il PAN ha applicato solo in casi sporadici e periferici). La popolazione ha, in teoria, necessità di sicurezza con il ritorno al PRI o con l’assegnazione del potere al PRD ed al suo candidato Lopez Obrador che dopo aver spopolato soprattutto negli strati più poveri della popolazione della capitale, si è imposto a livello nazionale come un personaggio politico di primissima linea; nonostante il fatto che non sia mai andato sugli schermi televisivi per tribune politiche, talk shows o altri programmi di approfondimento ed abbia sempre rifiutato i dibattiti con gli altri candidati, la sua popolarità ed il gradimento sono costanti e costantemente al primo posto tra le preferenze dei messicani. Le elezioni presidenziali in Messico non prevedono il secondo turno, ma solo un turno secco, ragion per cui il successo bisogna costruirlo giorno per giorno, cercando di parlare dei problemi reali e sentiti dalla popolazione. Invece si tratta di una campagna elettorale, quella in corso, incentrata contro il candidato più forte (Lopez Obrador) da parte degli altri due maggiori, senza mai scendere in particolari di politica o economia; d’altronde nemmeno lo stesso candidato del PRD è stato chiaro su come saranno ad esempio le relazioni internazionali del Messico dopo la sua eventuale elezione.

Si tratta quindi di una campagna elettorale dove l’immagine è l’elemento che conta di più ed in cui lo strumento di gran lunga più importante è sicuramente la televisione in un paese che è geograficamente grande più di sei volte l’Italia; non a caso in piena campagna elettorale, a fine marzo, è stata approvata una legge sul riordino televisivo chiamata legge Televisa perché favorisce chiaramente e sensibilmente i due poli informativi (privati) di Tele Azteca ed appunto di Televisa, assegnando di fatto solamente a loro, le concessioni per le nuove eventuali piattaforme di diffusione di segnale e dà un’ampia possibilità di raccogliere e quindi polarizzare la pubblicità televisiva; ciò renderà impossibile, a tutte le televisioni private al di fuori dei network, a quelle pubbliche e a tutte le televisioni universitarie, che in Messico hanno una grande importanza soprattutto dal punto di vista informativo e culturale, di poter sopravvivere, lasciando quindi, in prospettiva, il campo televisivo unicamente in mano dei poteri forti economici che gestiscono Tele Azteca e Televisa. I dirigenti dei due network hanno ringraziato la grande maggioranza dei voti ottenuti per la modifica alla legge delle telecomunicazioni (11 contro 9 e 2 astenuti in commissione del Senato, 81 contro 40 e 4 astensioni in aula, che ha portato di fatto detta legge modificata ad essere chiamata legge Televisa) ed hanno immediatamente offerto alle forze che hanno appoggiato la suddetta legge (voto trasversale in realtà, ma con una certa compattezza da parte del PRI), spazi elettorali gratuiti; quasi contemporaneamente però i dirigenti di Televisa hanno apertamente offerto il proprio supporto alla campagna di Calderon (PAN), beffando quindi il candidato del PRI Madrazo che aveva fortemente voluto questa modifica di legge. Da quel momento hanno cominciato a moltiplicarsi le presenze dei candidati (in verità già cospicue in precedenza) nei programmi di intrattenimento e per mezzo di spot elettorali; ciò mentre Lopez Obrador ha deciso di sfruttare molto limitatamente la possibilità di presenziare nei vari programmi.

Nel primo dei due dibattiti televisivi (quello di aprile, il prossimo sarà in giugno), Lopez Obrador non ha partecipato, lasciando la ribalta agli altri 4 competitori: Calderon (PAN), Madrazo (PRI), Patricia Mercado (PASC, una coalizione progressista e socialista), Campa (PNAL, partito nato da una minima scissione del PRI ed ora finanziato ed appoggiato dal PAN). La postazione è rimasta vuota ma ha suscitato comunque interesse lo scontro che ha assunto toni aspri ma anche divertenti; si pensava che la mossa di Lopez Obrador, qualsiasi fossero stati i suoi motivi, avrebbe dato ulteriore carburante alla sua macchina, visto il grigiore generale che si era presentato sino a quel punto; ma l’exploit di Patrizia Mercado, che ha messo l’accento sui diritti delle minoranze, delle donne e dei lavoratori (mentre i vertici del PRI ricevono appoggio da dirigenti sindacali milionari), ha potenzialmente avuto il gradimento di chi (moltissimi) è rimasto deluso dal dibattito. Si sono susseguiti colpi bassi ed accuse tra gli altri 3 candidati: Madrazo è stato accusato da Calderon e Campa di aver evaso le tasse per anni; Madrazo accusa Campa di essere il burattino in mano di Calderon che è il burattinaio; ed altri argomenti di questo genere che non hanno permesso (ma questa era in realtà la loro funzione) di analizzare i vari punti in discussione che inutilmente la giornalista-arbitro presente al dibattito, cercava di presentare. Purtroppo per lei Patricia Mercado è accreditata di poco più del 3% dei consensi e quindi questo spirito nuovo e differente di fare politica, affrontando direttamente i problemi senza demagogia , essendo slegata dai poteri economici forti nazionali e internazionali, non si tradurrà in appoggio sufficiente per la elezione alla presidenza, ed i messicani si troveranno davanti alla scelta di eleggere uno dei tre candidati “forti”.

Dopo il dibattito, il quotidiano, di area panista, “la Reforma” ha accreditato del 34% Calderon, (diventando quindi primo), Lopez Obrador del 30% e Madrazo del 25%; molti credono che questo sondaggio sia stato effettuato in maniera poco scientifica e surrettizia, ma in realtà in questi giorni, altre fonti relativamente indipendenti, hanno riscontrato il sorpasso di Calderon nei confronti del candidato del PRD anche se di una percentuale che va dall’1% al 2%: nonostante questo essere praticamente assente dal più possente strumento elettorale (il Messico è un paese di più di 100 milioni di abitanti e di circa 1.900.000 kmq), Lopez Obrador tiene testa al candidato del PAN.

Sicuramente il riflesso delle sue performances nel governo del Distretto Federale ha influito, ma hanno influito anche in maniera contraria allo spirito con cui erano stati effettuati, gli attacchi e le scorrettezze da parte del PAN e del PRI: denunce di corruzione, video poco chiari che accuserebbero suoi collaboratori di ricevere tangenti da un impresario, tentativo di desafuero – una sorta di impeachement – ordito dai panisti e rapidamente ritirato dal Presidente Fox dopo che più di un milione e mezzo di messicani erano scesi in piazza per appoggiare Lopez Obrador. Ma di gran lunga più importante come causa della sua potenziale rispondenza elettorale è la collaborazione che ha ricevuto da parte di ex collaboratori del poco amato ex Presidente Salinas (PRI). Segno questo, osservano in molti, che le tecniche ed i modi della vecchia politica del partito-stato (il PRI di cui in precedenza Lopez Obrador era esponente, proprio nel gruppo dei tecnocrati vicini a Salinas) ripagano ed anche che in ogni caso e nonostante sei anni di governo del PAN, gli uomini di area priista sono quelli che garantiscono le connessioni con gli ambienti che contano di politica ed economia nazionale ed internazionale. Un altro elemento da non trascurare per valutare, in maniera un poco più completa, la forza di Lopez Obrador è l’appoggio mai celato ed abbastanza caldo che riceve da parte del miliardario Slim, l’uomo più ricco del Messico, proprietario dei maggiori networks dell’alimentazione, della distribuzione e di molti altri campi; questo appoggio si traduce in contatti con il mondo imprenditoriale (anche statunitense) e denaro cash per le spese “quotidiane” di ammorbidimento di cachiques locali o per reclutare persone che in vari centri o villaggi possano dare maggiore visibilità al candidato del PRD. Per tutto ciò, e soprattutto perché l’argomento della politica estera non è mai stato toccato dai candidati (eccetto che da Calderon per affermare che con lui non ci saranno cambi in politica internazionale rispetto al Governo Fox e quindi giura fedeltà assoluta agli USA), il vicino potente statunitense non si è mai espresso in nessun senso ed anzi si ha la percezione che con un’eventuale vittoria del candidato del PRD, potrebbe fare buon viso a cattivo gioco, se in realtà di cattivo gioco si tratterà: il programma di Lopez Obrador non è anti USA né, in economia, anti FMI; Slim può garantirgli una buona presentazione presso i circuiti economici e finanziari statunitensi; gli ex collaboratori di Salinas che ora lavorano con lui, fautori del turbo capitalismo neoliberista applicato dell’88 in Mexico, hanno ottimi rapporti con l’amministrazione Bush e la CIA; ma soprattutto gli USA hanno necessità di un vicino come il Messico tranquillo, senza contrasti sociali ed economici che possono sfociare in una emigrazione di massa verso le proprio frontiere. Dopo la firma del NAFTA (libero mercato di capitali, merci e persone tra USA, Canada, Messico) il grande problema è sempre stato quello dell’emigrazione messicana (e latinoamericana attraverso il Messico, in generale) verso gli USA, che indebitamente e contro il patto che essi stessi avevano promosso, cercano di attutirla con metodi alquanto obsoleti che si rivelano inefficaci, come ad esempio la costruzione di un muro lungo tutti i più di 3000 km di frontiera; la scelta USA a parte le indubbie preferenze per Calderon, sarà quindi per il candidato che potrà garantire un controllo dell’emigrazione messicana verso il vicino del nord.

Si sta assistendo in realtà a due campagne che mirano a screditare il candidato del PRD che apparentemente è quello che può portare maggior beneficio al popolo messicano, tentando di applicare in scala nazionale, il sistema di costruzione massiccia di un certo tessuto di stato sociale, che è stato applicato nel Distretto Federale con molti risultati positivi. Al fianco della campagna ufficiale dei due altri competitori Madrazo e Calderon, c’è la otra campaña di Marcos che dirige le sue critiche quasi solamente verso Lopez Obrador, lasciando indenni gli altri due candidati maggiori. Perciò il subcomandante è stato lasciato libero di muoversi per l’intero territorio messicano, da parte delle istituzioni paniste, per permettergli appunto di gettare discredito, senza peraltro proporre nulla di alternativo, sull’unica persona che potenzialmente potrebbe far cambiare il Messico; per fare questo è stato addirittura invitato (9 maggio) negli studi di Televisa per una intervista. Che da tempo la politica dell’EZLN fosse impantanata sul fatto che l’organizzazione non volesse riconoscere le istituzioni, ma che da esse esige l’autonomia del Chiapas e il riconoscimento e la risoluzione del problema indigeno e campesino, era già di dominio pubblico, ma che adesso il subcomandante Marcos si tramuti in una rock star in tourneé su tutto il territorio nazionale, con il beneplacito delle istituzioni, fa sembrare che l’autonomia del movimento zapatista sia venuta meno se mai ci fosse stata. Per il problema campesino il candidato più interessante risulta sicuramente Lopez Obrador, l’unico che abbia un programma economico-sociale abbastanza sviluppato da rivolgersi ad esso in maniera puntuale; ciò mentre gli altri due candidati non farebbero altro (qualora dovessero vincere le elezioni) che confermare il modo con cui hanno trattato il problema zapatista i loro precedenti governi (Salinas PRI e Fox PAN): semplicemente ignorandolo. A tutto questo si sommano varie proteste anche cruente che si legano alla otra campaña: la protesta dei commercianti di fiori di Texcoco (che non vogliono essere sgomberati dal mercato dei fiori che dovrà essere assegnato a privati) a cui si sono aggiunti spontaneamente i macheteros (così chiamati perché armati di machete affrontano la polizia) del villaggio di San Salvador Atenco, da anni in lotta con le istituzioni che vogliono costruire nell’area un nuovo aeroporto internazionale che dovrà sostituire quello di Benito Juarez al centro dell’area metropolitana del Distretto Federale; e a questi si sono ulteriormente aggiunti i componenti ed i simpatizzanti dell’EZLN in viaggio per il tour nella Federazione. Queste proteste hanno causato gravi disordini che sono sfociati nell’uccisione di un giovane e di molti pestaggi stigmatizzati anche dai mezzi di informazione, da parte della polizia, che però hanno fatto indirizzare la protesta della popolazione contro il PRD in quanto il presidente municipale di San Salvador Atenco che ha richiesto l’intervento della polizia federale, è un esponente di questo partito. Questo avvenimento eclatante unito a molti altri minori, fanno sempre più allontanare la base più radicale della popolazione dal gradimento politico del PRD stesso e di Lopez Obrador e la spingono (anche perché incalzati da Marcos che su questa parte di popolazione ha una certa influenza, nonché da una certa campagna giornalistica stranamente precisa, dettagliata ed attiva nell’evidenziare i responsabili nelle istituzioni) verso l’astensione o, per paura di disordini sociali futuri, verso il pugno duro che sta agitando da tempo il candidato del PAN Calderon.

Uno dei punti dove si riscontra maggiore vivacità nella campagna elettorale è indubbiamente il problema energetico soprattutto focalizzato sul petrolio; per la costituzione messicana il petrolio ed il gas ed i prodotti di primo e secondo grado da essi derivati, sono beni pubblici ed inalienabili allo stato. La mossa USA di aver appoggiato nel 2000 la elezione di Fox (a quel tempo amministratore delegato della Coca-Cola Messico) era completamente volta a cercare di abbattere questa grave limitazione; ma il parlamento ha sempre bocciato qualsiasi apertura al mercato nel settore energetico, con i voti determinanti del PRI. Adesso le forze politico-sociali filo USA, appoggiate dalle lobbies del petrolio nordamericane, ci riprovano con Calderon che, unico tra i candidati insieme a Campa, propone l’apertura alla concorrenza sull’estrazione, lavorazione e vendita del petrolio e dei suoi derivati. C’è da notare che la PEMEX (l’industria petrolifera di stato) risulta tra le prime 10 compagnie petrolifere nel mondo ed i suoi numeri di esportazioni e ricavi sono da capogiro; il Messico risulta dipendente dall’importazione di energia estera per meno del 6%, mentre esposta più del 20% di petrolio e gas estratti, perciò il mercato fa gola e nell’ombra della macchina elettorale si muovono una serie di potenti interessi. Ed è per questo che il popolo Messicano attraverso i suoi rappresentanti nelle istituzioni, non ha intenzione di comporre una maggioranza che potrebbe lavorare per smantellare quella che è la maggiore industria di stato, una delle prime al mondo nel settore, e quella cha apporta al PIL nazionale la percentuale più rilevante. Inoltre in questo periodo storico in America Latina la questione petrolifera ed energetica è diventata molto importante e da molti attori politici di primo piano, è ritenuta la questione più importante del continente e quella che, se risolta in un certo modo, potrà apportare una vera indipendenza ai paesi dell’area. Basti pensare ai vari progetti di equo scambio di energie, servizi e prodotti messi in pratica da Chavez (con Cuba, Nicaragua, Argentina, Bolivia) ed il nuovo megaprogetto della pipeline per gas e liquido (petrolio) che partirà dal Venezuela, e si diramerà per la Bolivia e al sud verso l’Argentina; con questo progetto si approvvigioneranno di petrolio (dal Venezuela) e di gas (dalla Bolivia) tutti i paesi che parteciperanno alla progettazione ed alla costruzione; ciò permetterà ai paesi latinoamericani coinvolti, di affrancarsi dalla politica del rialzo dei prezzi energetici in atto in questo periodo, così facendo si toglieranno anche un pesante giogo dalla schiena con il quale per lungo tempo le potenze occidentali (USA in testa) hanno potuto controllare il continente. Intanto Evo Morales ha fatto emanare una legge che è quasi una nazionalizzazione del gas, secondo la quale le compagnie di estrazione e lavorazione del gas dovranno dare l’80% dei ricavi allo stato boliviano, pena la nazionalizzazione; questo proprio in visione del megaprogetto sopra descritto.

Con il vento di “rivoluzione dolce” che tira sul continente (Lula, Kirchner, Bachelet, Morales, Chavez, con Humala al secondo turno delle elezioni in Perù) il Messico potrebbe essere un tassello molto importante per cambiare definitivamente aria e politica nel continente per cercare di allontanarsi e liberarsi dalla politica dell’amministrazione Bush, attendendo la futura vittoria dei democratici negli USA, per pacificare e riorganizzare il continente su basi più eque. Il Messico è il secondo paese dell’America Latina per ricchezza, popolazione, estensione geografica dopo il Brasile e cambiare pagina darebbe ulteriore linfa ai movimenti e partiti indipendenti dalla politica statunitense; il problema è vissuto direttamente negli USA perché da un mese si susseguono manifestazioni oceaniche, solo di cittadini messicani (regolari ed irregolari) prima, e di tutti i paesi latinoamericano poi, per reclamare condizioni di vita più degne e la regolarizzazione, previo pagamento delle imposte; a questo sterminato movimento (si sta organizzando a breve scadenza una one-millon-march) si associano e collaborano anche organizzazioni per i diritti civili statunitensi e soprattutto amministrazioni locali, alcune delle quali di primissimo piano come la municipalità di Los Angeles il cui sindaco, Antonio Villaraigosa, conosce molto bene il problema essendo cittadino messicano, e figlio di una domestica messicana clandestina, poi legalizzata. Quindi per gli USA il problema delle relazioni con il mondo latinoamericano è di primissima attualità e soprattutto è un problema molto grave in quando già presente ed attivo all’interno della società.

Il momento del cambio in Messico è una cosa possibile visto che il PRI non sembra avere forza per riprendere il potere; avrà luogo quindi una battaglia tra il PAN ed il PRD per continuare le azioni del Governo Fox, oppure per intraprendere una politica sociale che potrà far diventare il Messico un traino per i paesi del Centro America, che potranno anch’essi allinearsi al vento di rinnovamento del continente. L’amministrazione Bush da una parte ed i paesi del “blocco sociale” dell’America Meridionale attendono e fremono, bisogna solo vedere se entreranno attivamente nel gioco o rimarranno solo spettatori.

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