In Bangladesh tre diversi incidenti, avvenuti la scorsa settimana, hanno provocato centinaia di morti e di feriti, secondo quanto hanno denunciato le organizzazioni internazionali e i sindacati.
“Si tratta dell`ennesimo gravissimo atto di una tragedia annunciata; ancora una volta uomini e donne muoiono per cucire i vestiti che indossiamo” dichiara Deborah Lucchetti della Campagna Abiti Puliti, membro della coalizione internazionale Clean Clothes Campaign che da anni denuncia i rischi legati alla totale insicurezza dell`industria tessile in Bangladesh.
“La ricerca della massima competitività nel mercato globale spinge le imprese a ridurre al minimo i costi, provocando l`erosione continua dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici collocati alla fine della filiera produttiva; eventi come questi mettono in luce il totale fallimento della capacità delle imprese, a livello nazionale ed internazionale, di garantire luoghi di lavoro sicuri. Riteniamo che tutti coloro che hanno avuto rapporti di collaborazione con le imprese in questione, debbano farsi avanti e assumersi la responsabilità di sostenere un percorso che metta la parola fine a morti insensate come queste.”
Una tragica, irresponsabile sequenza
La sequenza tragica è cominciata giovedì 23 febbraio, quando le fiamme probabilmente causate da un corto circuito, hanno distrutto la KTS Textile Industries di 4 piani, situata a Chittagong. Le prime dichiarazioni riportano 54 morti e 60 feriti ma altre fonti parlano già di centinaia di morti in quella che gli attivisti locali, impegnati nella difesa dei diritti dei lavoratori, definiscono la più
grave tragedia dell`industria tessile in Bangladesh. Più di 1.000 lavoratori erano presenti in azienda alle 7 di sera, al momento dello scoppio. Secondo i lavoratori, le uscite erano chiuse a chiave. L`azienda produceva per imprese statunitensi come Uni Hosiery, Mermaid International, ATT Enterprise e VIDA Enterprise Corp.
Nel frattempo le autorità locali hanno apparentemente sequestrato altre tre aziende collegate (Vintex Fashion, Cardinal Fashion e Arena Fashion), a causa di costruzioni non autorizzate e misure di sicurezza inadeguate che minacciavano la vita di più di 6.000 lavoratori.
Sabato 25 febbraio, 19 persone sono morte e 50 sono rimaste ferite nel crollo di un edificio di 5 piani a Dhaka. Il Phoenix Building nella zona industriale di Tejgaon è crollato in seguito alla ristrutturazione non autorizzata a convertire i piani superiori, che ospitavano uffici e varie imprese inclusa una tessile, in un ospedale privato con 500 posti letto. 150 lavoratori edili ed un numero imprecisato di lavoratori tessili erano nell`edificio al momento del crollo. Le operazioni di soccorso, ritardate per mancanza di mezzi, sono ancora in corso. Centinaia di attivisti hanno marciato a Dhaka, chiedendo il risarcimento per le famiglie delle vittime e una misure punitive per i proprietari delle imprese. La polizia sta ricercando il proprietario dell`edificio Deen Mohammad, chairman del Phoenix Group e della City Bank del Bangladesh, ma non è stata ancora in grado di localizzarlo. La Phoenix Garments esporta abbigliamento principalmente in Europa.
Lo stesso giorno a Chittagong, 57 lavoratori del Gruppo Industriale Imam (che ospita la Moon Fashion Limited, la Imam Fashion, la Moon Textile, la Leading Fashion e la Bimon Inda Garment Factories) sono rimasti feriti a causa dell`esplosione di un trasformatore; 4 sono in condizioni critiche.
Le nostre richieste
La Campagna Abiti Puliti ritiene necessario l`immediato intervento di tutti gli attori, a livello locale ed internazionale che includa:
(1) sostegno per un adeguato soccorso e risarcimento;
(2) indagine completa, indipendente e trasparente che faccia luce sui tre incidenti;
(3) immediate misure strutturali che prevengano in futuro simili incidenti.
Genova, 28 Febbraio 2006.