Nelle scelte governative e nella propaganda mediatica degli ultimi anni si è affermata l’idea del carattere “salvifico” delle Grandi Opere: il dogma, in sostanza, secondo il quale la realizzazione di imponenti opere infrastrutturali costituisce comunque un passo in avanti sulla strada di un indefinito “progresso”, un irrinunciabile “volano” per lo sviluppo economico del Paese e un elemento decisivo per la sua “competitività” sui mercati internazionali, un asse imprescindibile, infine, intorno al quale riorganizzare la “salvaguardia” e la stessa vita produttiva e sociale dei territori attraversati. Una volta che siano visti da vicino ed analizzati con competenza critica, i mega-interventi proposti rivelano tutt’altro volto: si tratta di progetti spesso obsoleti, da tempo nei cassetti o con ostinazione sostenuti da potenti lobby economico-imprenditoriali, solitamente con forti intrecci – ed in maniera purtroppo trasversale – con la politica istituzionale; prevedono costi elevatissimi, destinati a crescere in corso d’opera e, contrariamente alla declamata retorica del “project financing”, quasi per intero a carico della finanza pubblica, sostenibili solo sottraendo risorse cospicue a investimenti di grande utilità sociale; comportano impatti ambientali pesantissimi, devastanti per i territori attraversati e, spesso, anche nocivi per la salute delle popolazioni interessate. Per realizzare queste opere nell’interesse di pochi si stanno facendo carte false: si ignorano, ad esempio, i rilievi mossi da tecnici e scienziati indipendenti e, in particolare, vengono adottate procedure che saltano le valutazioni strategiche d’impatto ambientale e la verifica di possibili alternative, in aperta violazione di tutte le direttive in materia dell’Unione Europea, ed è stata addirittura costruita – con la Legge Obiettivo – una normativa ad hoc, che scavalca le Istituzioni locali coinvolte dai progetti e consente di procedere alla realizzazione delle opere, anche di fronte al parere negativo espresso dagli enti locali. Nonostante tutti questi tentativi, le Grandi Opere – e le lobby politico-affaristiche che le promuovono – stanno incontrando sul loro cammino una diffusa, crescente resistenza: si sono moltiplicate, negli ultimi anni e con maggior forza negli ultimi mesi, le iniziative di cittadine e cittadini che, talvolta insieme ai Comuni interessati, si organizzano dal basso per impedire che vengano loro imposti mega-progetti devastanti, inutili e dispendiosi, e per proporre progetti alternativi, a basso impatto ambientale, socialmente utili e finanziariamente sostenibili. E’ così in Val di Susa dove, contro la realizzazione del progetto TAV, lo sciopero generale dell’intera comunità, il blocco dei cantieri, lo sgombero e la successiva riconquista dei terreni di Venaus ha ottenuto una prima parziale vittoria, con la sospensione temporanea dei lavori e l’apertura di un tavolo di confronto. E’ così tra Calabria e Sicilia dove, contro la costruzione del Ponte sullo Stretto, decine di migliaia di persone hanno manifestato a Messina. E’ così a Venezia dove, contro il Mo.S.E. che vuole mangiarsi la Laguna, dopo le iniziative al Magistrato alle Acque e alle Bocche di porto e le oltre dodicimila firme raccolte in città per il blocco dei cantieri, il Consiglio comunale voterà presto un documento per le possibili alternative alle dighe mobili. Ma è così un po’ dappertutto, come nel Nordest contro la nuova galleria del Brennero in Sud Tirolo, l’Alta Velocità nel Vicentino e il Corridoio Cinque nell’Isontino, contro la nuova Romea Commerciale, la Valdasti! co e la Pedemontana, o per la “grande opera” (questa sì!) della riconversione del polo chimico e delle bonifiche a Porto Marghera. E l’elenco potrebbe continuare a lungo … Cercano di fermare questa formidabile resistenza, accusandoci di essere conservatori, retrogradi, nemici del Progresso. Cercano di isolare ciascuna di queste mobilitazioni, definendole come le battaglie del “non-nel-mio-giardinetto”. Ma la dimensione locale di ciascuna di queste lotte pone immediatamente questioni globali, quale – nel caso della TAV – la critica alla realizzazione di grandi reti infrastrutturali europee, che utilizzano il territorio unicamente come spazio di attraversamento, risorsa da violare e sfruttare. O – nel caso del Mo.S.E. – come si immagini il futuro ambientale e sociale delle aree umide, lagunari e costiere, di fronte al surriscaldamento del pianeta e all’innalzamento del livello medio del mare. O – nel caso del Ponte sullo Stretto – quale idea dello “sviluppo” del Sud e del suo rapporto con popoli e culture dell’area mediterranea si abbia. Alla logica delle Grandi Opere si contrappone dovunque non certo una chiusura localistica, ma la difesa del territorio come prezioso bene comune, di tutti e non solo delle comunità che vi risiedono. Ecco allora che la difesa di un territorio, della sua storia e della sua identità, della qualità della vita e del tessuto di relazioni sociali che su quel territorio sono cresciute, diventano rivendicazioni, locali e globali insieme, portatrici di una critica radicale ad un modello di sviluppo che si alimenta di decisioni prese altrove, da poteri forti e opachi, in nome dell’interesse superiore del profitto e della depredazione dei beni comuni. In tutte queste lotte è decisivo il riemergere del valore della dimensione comunitaria e municipale, come spazio praticabile per l’invenzione di nuove forme di democrazia e di autogoverno, anche qui senza alcun “localismo”, ma nella continua ricerca di una relazione aperta con l’altro. Ed in questo passaggio prende corpo un’altra, diversa ! idea di “sviluppo” possibile, centrata sui bisogni reali di un territorio e della sua popolazione, sulla cura dei beni comuni, sulla crescita di relazioni solidali. Abbiamo partecipato alle mobilitazioni in Val di Susa e a Messina: le battaglie NO TAV e NO PONTE rappresentano per noi un esempio vincente, da riprodurre ed estendere. • Per queste ragioni, crediamo sia giunto il momento, rompendo il tentativo di isolamento di ciascuna di queste nostre lotte, di creare forme stabili di collegamento e coordinamento di tutte le iniziative che si battono contro le Grandi Opere e la loro logica, • per la immediata moratoria di tutte le Grandi Opere contestate, • per il blocco dei cantieri già aperti, • per la discussione e laverifica di tutte le alternative, per l`abrogazione della “Legge Obiettivo” Lunardi, • per la revisione del Piano nazionale delle Opere Pubbliche, delle Infrastrutture e dei Trasporti, • perché le comunità locali possano tornare a decidere del proprio futuro Le assemblee permanenti, i comitati e le associazioni ambientaliste presenti all`Assemblea contro le Grandi Opere di sabato 11 febbraio allo IUAV di Venezia decidono perciò: 1. di partecipare al Forum a Torino e in Val di Susa dei prossimi 17, 18 e 19 febbraio in occasione delle Olimpiadi invernali come ulteriore momento di azione comune; 2. di costituire un sito web denominato www.nograndiopere.org come spazio pubblico di comunicazione, collegamento e coordinamento di tutte le iniziative; 3. di aderire alla mobilitazione che l`Assemblea NO MOSE organizzerà in occasione del voto del Consiglio comunale di Venezia sull`ordine del giorno a favore dei progetti alternativi alle dighe mobili alle bocche di porto. Venezia, 11 febbraio 2006.