Nessuna violenza fisica sui prigionieri, ma per loro neppure alcuna garanzia giudiziaria: il carcere che dal 1999 è allestito all`interno della base americana di Bondsteel, nel Kosovo orientale, non è forse la “piccola Guantanamo“ denunciata ieri sulle pagine di Le Monde da Alvaro Gil Robles, commissario europeo ai diritti umani per il Consiglio d`Europa, ma non è neppure una normale prigione.
“Quello è l`unico carcere del Kosovo in cui non si applicano i codici che la missione delle Nazioni Unite ha invece introdotto nel resto della provincia“, racconta all`Ansa Ilir F., 31 anni, rinchiuso per due volte a Camp Bondsteel. Una “zona franca“ in cui i sospettati possono rimanere rinchiusi a tempo determinato senza nessun processo. Ilir, che parla a condizione dell`anonimato, dopo aver combattuto al fianco della guerriglia albanese per due volte è stato arrestato per sospetti legami con gruppi eversivi etnici. Dopo essere stato liberato e aver lasciato il Kosovo si è trasferito a vivere a Tirana, in Albania, ed è da qui che racconta la sua verità sulla discussa prigione americana.
“Sono stato rinchiuso a Bondsteel per due volte – ricorda – la prima nel 2002, e la seconda nel 2003“: sono proprio queste date a renderlo un testimone importante, perché la sua prigionia è avvenuta nello stesso periodo e subito dopo la visita in Kosovo del commissario europeo. Gil Robles ha raccontato che durante un`ispezione a Bondsteel avvenuta nel settembre del 2002 notò quella prigione all`interno della base Usa: “Piccole baracche in legno circondate da alte barriere di filo spinato – ha riferito il commissario europeo -; ho visto tra 15 e 20 prigionieri, chiusi in queste casette, con tute arancioni come quelle dei detenuti di Guantanamo“.
Robles ne rimase scioccato e chiese al comandante francese della Kfor, Marcel Valentin, di smantellare il centro di detenzione e cambiare le regole per i detenuti. In realta` nulla e` mai cambiato, e Ilir F. lo conferma. “Il carcere di Bondsteel nel quale sono stato rinchiuso per 25 giorni nel 2002 era del tutto identico a quello nel quale mi sono ritrovato un anno dopo dopo“. La descrizione che ne fa l`ex detenuto coincide perfettamente con quella offerta dal commissario europeo: “La prigione è costituita da 24 baracche divise su due file e attraversate da un corridoio comune. L`area è circondata dal filo spinato, e lo stesso filo spinato delinea l`area in cui i detenuti per quattro ore al giorno possono vivere all`aperto. Tutti indossano le tute arancione, ma la stessa uniforme ormai è stata introdotta anche nelle altre prigioni civili del Kosovo“.
Ilir esclude che nel carcere militare le condizioni di vita dei detenuti siano crudeli. Al contrario: “Le celle hanno quattro letti ciascuna, sono dotate di bagno e aria condizionata e una volta al giorno ti vengono messi a disposizione libri e giornali, oltre che il corano o la bibbia per chi lo richieda“. Il problema, tuttavia, è che a Bondsteel i detenuti non hanno nessuna garanzia giudiziaria: “E` per questo che solo alcuni prigionieri vengono rinchiusi li` dentro – spiega – e si tratta normalmente di persone sospettate di terrorismo. All`inizio degli interrogatori a me venne offerta l`assistenza di un avvocato, anche se io personalmente la rifiutai, né ho mai saputo di altri prigionieri che ne abbiano usufruito. Non ho mai subito violenze durante gli interrogatori, sebbene fossero condotti esclusivamente da militari, ma non ho mai incontrato neppure un giudice o un procuratore“.
Nel resto del Kosovo la legge stabilisce che una persona fermata o arrestata entro 72 ore deve comparire davanti a un magistrato, ma a Bondsteel questa garanzia non esiste: “La prima volta sono stato recluso per 25 giorni – raccolta Ilir – e la seconda per 43, ma il mio destino è stato deciso sempre dai militari: nessun giudice si è mai occupato del mio caso, e quando sono stato rilasciato, non mi è stato dato nessun documento che certificasse la mia detenzione“. Non sono soltanto gli americani a servirsi di questa prigione speciale: “La prima volta io sono stato portato a Bondsteel dagli italiani – dice Ilir – e la seconda volta dagli inglesi: in questi casi i soldati americani garantivano solo la custodia, mentre italiani e inglesi conducevano gli interrogatori“.
E` possibile che Bondsteel venga utilizzata come prigione segreta dalla CIA per ospitare prigionieri provenienti dall`estero? “Io non lo credo – risponde l`ex prigioniero – e almeno in quelle 14 baracche non ho mai visto stranieri. Del resto nella base circolano traduttori albanesi e sicuramente se questo fosse accaduto la notizia sarebbe circolata. In Kosovo pero` c`è un` altra base americana, decisamente meno conosciuta di Bondstell anche se si trova poco distante: si chiama Monteeth ed è sotto il pieno controllo dei servizi segreti statunitensi. Li` dentro – conclude Ilir – nessuno di noi ha mai saputo che cosa accada“.
Carlo Bollino, ANSA, 26.11.2005