“Io sono riuscito a venirne fuori perché avevo con me il documento da studente, ma migliaia di persone sono ancora rinchiuse là dentro. Per sei giorni soltanto un camion cisterna di acqua potabile per non so quanti di noi, certamente molte migliaia”: la voce di Teodros – il nome è di copertura – è ancora incrinata dalla tensione al telefono da Addis Abeba con la MISNA. È uno dei “detenuti fantasma” deportati nel campo militare di Dedessa, circa 360 chilometri dalla capitale, in seguito alle retate della polizia per rappresaglia delle proteste anti-goverantive d’inizio novembre che hanno provocato una cinquantina di vittime ma almeno un centinaio secondo molte testimonianze.
“Di giorno caldo torrido, di notte freddo e nulla per ripararsi: è stata una settimana davvero dura” aggiunge. Teodros ha negli occhi le immagini di quei giorni trascorsi in una struttura dell’esercito senza motivo e senza un’incriminazione formale. Dopo aver annunciato la liberazione di oltre 4.000 civili, oggi le autortià hanno reso note altre altre 3.850 scarcerazioni, che porterebbe il totale a circa 8.000. Questi dati sembrano confermare il numero elevato di civili arrestati nei giorni scorsi, prelevati anche casa per casa.
Secondo alcune fonti il numero di ‘desaparecidos’ oscillerebbe tra 15.000 e 40.000. “Sono venuti a prendermi a casa di sera, poi mi hanno portato nel carcere di Kerchele, qui ad Addis. Durante il tragitto mi hanno picchiato. Ho trascorso lì la prima notte, in mezzo a una quantità enorme di persone, anche molti ragazzi giovani, alcuni sembravano bambini. Non c’era abbastanza spazio per sdraiarsi, così abbiamo cercato di dormire seduti” prosegue. Dopo quasi 15 ore “ci hanno dato un pezzo di pane. C’era una sola pompa dell’acqua per tutti, quasi impossibile bere” scandisce lento le parole Teodros, che ha 20 anni e in queste settimane dovrebbe iniziare la Facoltà di ingegneria. “Di notte ci hanno caricato su degli autobus”. Si ferma e la sua voce si distende. “Io sono stato fortunato, gli altri hanno viaggiato su camion”, un viaggio massacrante che l’interlocutore della MISNA ha comunque dovuto affrontare al ritorno. “Dopo circa 20 ore di viaggio, insieme a una sessantina di altri autobus, siamo al campo di Dedessa. C’era già una grande quantità di persone, non saprei quantificarle”. Donne e ragazze, come ha denunciato qualcuno? “Io non ne ho viste”.
Il centro di formazione militare di Dedessa venne costruita all’epoca del dittatore Menghistu Haile Mariam. “Un posto sporco e abbandonato da 11 anni, in un clima torrido con zanzare ovunque: mi hanno pizzicato, speriamo di non aver preso la malaria. Ma lo scoprirò solo tra qualche giorno” spiega Teodros, che dal suo rientro accusa una leggera febbre e “una strana allergia”. “Non c’erano bagni: gli agenti della polizia federale ci dicevano di andare all’aperto in mezzo all’erba per i nostri bisogni. Ho sentito dire che all’interno della base almeno tre persone sono morte per i morsi di serpenti, ma non le ho viste. C’erano invece molti ammalati nel carcere di Addis Abeba”.
Il testimone riferisce anche di “21 detenuti che hanno cercato di scappare: tre ci sono riusciti, 18 sono stati riportati al campo dal alcuni contadini, cui i militari avevano promesso ricompense”. Ogni giorno, aggiunge “ci chiedevamo quando ci avrebbero liberati. Secondo qualcuna ‘la mattina seguente’, secondo altri ‘entro un paio di mesi’. Per fortuna dopo sei giorni è stato risolto il problema dell’acqua. Altrimenti c’era una bottiglia per dieci persone”. Eppure, aggiunge il testimone intervistato dalla MISNA, “siamo anche riusciti a scherzare e inventare barzellette sugli ‘Agazi’”, i tenuissimi ‘berretti rossi’, forze speciali provenienti in gran parte dalle regione del Tigray come il controverso primo ministro Meles Zenawi.
“I militari Agazi fermano due studenti. Uno ha la carta d’identità, l’altro no. Su richiesta dei soldati, il primo la mostra. L’altro, non avendola, se la fa ‘prestare’ dall’amico e spiega che ne hanno una in due. Come finisce? Gli Agazi li lasciano liberi avendo verificato la loro identità sullo… stesso documento” riesce ora a sorridere Teodros al telefono con la MISNA. “Insieme a me sono stati liberati altri studenti e disabili, tra cui alcuni menomati dell’udito, altri con problemi psichici”. Il viaggio di rientro, quasi 24 ore. “Ma con uno spirito diverso: eravamo felici di tornare a casa. Il cibo? Niente nemmeno stavolta, ma abbiamo mangiato grazie alla solidarietà della gente che ci gettava qualcosa dalla strada”. Nella sua testa, oltre al ricordo di questi sette-giorni-sette che non passavano mai, resta la scritta letta su un muro del campo militare, lasciata nel 1994 da un soldato: “Uguaglianza per tutta la nazione”.
[EB] – ETIOPIA 15/11/2005