Emergenza ‘ndrangheta - Delitto Fortugno

Egregio presidente: noi ci siamo ribellati già, ma lo Stato dov’era?

Antonello Mangano
  I media scoprono la ‘ndrangheta solo dopo l’omicidio Fortugno, mentre le istituzioni invitano i calabresi alla ribellione. In realtà, qui ci si ribella da lungo tempo ma nell’indifferenza del resto d’Italia: dai commercianti che non pagano a settori della Chiesa, fino ai tanti enti locali vittime di minacce ed attentati. Gli unici studiosi e politici che lanciano allarmi inascoltati sono calabresi. Le uniche imprese che si ribellano sono calabresi. Una lettera al presidente della Repubblica, in risposta al suo invito alla reazione contro la mafia.
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“Reagite con fermezza calabresi: non siete soli, l`Italia tutta è con voi”. Sono le parole del presidente della Repubblica di fronte alla salma di Francesco Fortugno, vice presidente del Consiglio regionale calabrese assassinato in un seggio di Locri, dalla mafia, durante le primarie. Egregio presidente Ciampi: le sue sono parole sconcertanti. Non ci basta la sua pure apprezzabile presenza a Reggio Calabria, che rende ancora più pesanti le assenze ed i silenzi di tanti altri politici, per esempio il presidente del Consiglio il cui silenzio è stato davvero assordante. Il fatto è che da mesi e mesi i calabresi si ribellano, e con forza, ed a tutti i livelli. Ma l’Italia è rimasta voltata dall’altra parte, l’argomento non interessava, i media sono stati troppo presi dalle “ultime dichiarazioni di Follini”, le istituzioni sono state quasi sempre assenti e qualche volta complici, le grandi imprese nazionali hanno scelto in piena consapevolezza il lunardiano “principio della convivenza”, la cui applicazione in determinati contesti ha determinato effetti `mafiogeni`, cioe` la nascita o l`evoluzione di piccoli gruppi in criminalita` organizzata. L’opinione pubblica continua a tranquillizzarsi con l’immagine razzista di un lembo di terra estraneo al paese ed inguaribilmente criminaloide. Un trattamento che fino a qualche tempo fa era riservato alla Sicilia. Per molti, oggi la Calabria e` la Sicilia di vent`anni fa, una terra ancora aspra dove la coscienza civile deve formarsi, dove la ribellione non ha mai assunto forme concrete. Nulla di tutto questo e` vero. La Calabria ha gia` pianto i suoi eroi dell`antimafia: tra i tanti, Gatto di Gioiosa Jonica (1977), Valarioti di Rosarno (1980), Lo Sardo di Cetraro (1980). Da allora, la resistenza continua e mai si e` interrotta. L`omicidio di Francesco Fortugno è solo l`ultimo di una interminabile serie di attentati contro politici, operatori economici, semplici cittadini. Nel 2005 sono stati almeno 300. Sono i segnali concreti di una societa` che non si piega. La Calabria antimafiosa si è da tempo mobilitata contro lo strapotere dei criminali, dai tanti commercianti che rifiutano di pagare il pizzo alle battaglie del presidente della Confindustria regionale e del Vescovo di Locri, fino alle denunce in commissione antimafia ed alla resistenza degli enti locali, a partire da Villa San Giovanni. Dalla base al vertice della società, una rivolta senza precedenti, culminata nella manifestazione dei trentamila di Lamezia (avete capito bene: trentamila persone in piazza contro la `ndrangheta gia` a maggio 2005). Ma l`Italia era voltata dall`altra parte, e si è svegliata per qualche istante solo dopo un assassinio brutale, plateale, ma è prontissima a lavarsi la coscienza con l’idea che in fondo la colpa è dei calabresi che non reagiscono, dell’omertà, di un cancro che loro stessi allevano e proteggono. Non è vero. I calabresi si ribellano da tempo alla mafia, ma non resisteranno a lungo nella solitudine di una lotta impari. Centinai di attentati, estorsioni, omicidi e altri atti di violenza nei confronti di sindacalisti, imprenditori, semplici cittadini sono i segni di un conflitto che non si estingue, la prova della ribellione del commerciante che non cede al pizzo, dell’amministratore che non firma la delibera sotto minaccia, del parroco che non abbassa la testa, del sindacalista con la schiena dritta. Solo duecento sono gli attentanti nel vibonese, vera linea gotica delle ‘ndrine che dal reggino vogliono salire e conquistare il cuore della regione. Ventitre omicidi in provincia di Reggio dall’inizio dell’anno, e solo dell’ultimo ci si è accorti.

 

 

“Lo Stato non ci ha preso sul serio”

“Lo Stato non ha mai preso sul serio gli allarmi lanciati da un pezzo da chi nel territorio calabrese vive, opera, agisce. Quanto detto ieri dal ministro degli Interni Giuseppe Pisanu nel Consiglio regionale calabrese ha lasciato senza parole quasi tutti, si è colta una difficoltà a reagire da parte dello Stato che sbigottisce e non aiuta, ma anzi acuisce il senso di solitudine avvertito dalla maggior parte dei calabresi onesti”. Sono le parole di Filippo Callipo, presidente della Confindustria Calabrese, titolare dell`impresa che produce tonno di qualita` e che sponsorizza l`unica squadra di serie A1 di volley del Sud Italia. Callipo ha chiesto un maggiore intervento dello Stato sul territorio, anche a difesa delle aziende taglieggiate. Le sue parole risalgono a maggio 2005. Circa due mesi prima la mafia aveva piazzato due bombe ad Acquaro, nel vibonese: una contro la chiesa, una contro il sindacato. Il 20 aprile comincia la serie degli attentati a Lamezia, contro la nuova amministrazione. Il 25 aprile viene incendiata a Nardodipace la “Cassarese”, una fabbrica di dolci messa su da un gruppo di giovani del luogo. Parte la reazione: una raccolta nazionale di fondi, la solidarietà di tanti. Il primo maggio i sindacati celebrano la festa regionale del lavoro a Nardodipace. La presenza del Comune è forte e significativa. Il 21 maggio a Lamezia 30mila persone guidate dai sindacati sfilano in piazza contro la mafia. Parte la stagione delle costituzione degli enti locali come parte civile nei processi di mafia. Prima alcuni comuni del vibonese, quindi il nuovo governo regionale di Loiero. L’evento merita un titolo in prima pagina su “Le Monde” e qualche trafiletto distratto dei giornali italiani. La stagione della legalità degli enti locali ha un duro prezzo da pagare: minacce al sindaco di Reggio Calabria, a quello di Villa San Giovanni, a tantissimi amministratori di centri minori. Minacce, i soliti proiettili in busta chiusa, per l’assessore alla sanità del governo regionale e per il presidente Loiero. Nel frattempo, parte della commissione antimafia fa il suo lavoro: la parlamentare calabrese Angela Napoli continua ad indagare e denunciare, centra l’attenzione sulla provincia di Vibo e su settori complici della politica. L’estate è il periodo dei tanti omicidi nella locride: un commerciante di Siderno, una coppia di coniugi ad Oppido Mamertina, un oculista a Gerace, un giovane inseguito ed ucciso tra la folla in pieno giorno, a Gioiosa Jonica. Poi i tentati omicidi, alla luce del sole, senza nascondersi: un agguato in pieno centro a Siderno, 30 giorni dopo un altro a Locri, davanti alla stazione dei Carabinieri. Tutti atti brutali, terroristici, che non vogliono solo uccidere o ferire ma soprattutto far venire la paura addosso, a tutti. “Il giudizio di Dio contro chi spara!” è il titolo del manifesto fatto affiggere nelle parrocchie della diocesi dal vescovo di Locri Bregantini dopo la prima serie di omicidi. “Lacrime e coraggio” è il titolo del comunicato dopo l`omicidio Fortugno. Sono le parole chiare della Chiesa della locride che lotta qui da tanti anni, e sempre ha detto queste cose, sempre ha usato queste espressioni.

 

 

Che dobbiamo fare di più?

Cosa mai può fare di più una regione povera, resa anemica dall’emigrazione del passato e da quella del presente, senza vere città e fatta per la maggior parte di piccoli paesi dove il controllo è facile e ferreo? Cosa mai avrebbero dovuto fare di più contro una mafia che tratta da pari a pari coi colombiani, che gestisce da padrona il traffico internazionale delle droghe, che si permette di riciclare denaro comprando interi quartieri in Belgio o in Germania, che ama evidenziare l`aspetto crudele, inesorabile, macabro, terroristico delle sue esecuzioni? Caro presidente, quelli elencati non sono fatti che meritano il nome di reazione, di ribellione? “Con la mafia bisogna convivere”: è l’articolo principe del testo unico che governa negli ultimi anni la Calabria, e non solo, specie nel settore degli appalti pubblici. Legge inossidabile che non è stata enunciata da un pastore dell’Aspromonte, ma da un rispettabile signore di Parma, tale Pietro Lunardi, ministro della Repubblica con delega ai Lavori Pubblici ed in precedenza importantissimo operatore dei settore costruzioni, prima con la Cogefar e quindi con la Rocksoil. Un segnale presto compreso da grandi imprese, piccoli operatori, funzionari con famiglia a carico e grandi e piccoli criminali. Ultimo frutto della convivenza è la “nuova” Salerno-Reggio Calabria, il “corpo di reato più grande d’Italia” dopo i sequestri della magistratura. Un’opera divisa in tre parti: i cantieri interminabili, quelli che ancora devono essere avviati, e quelli terminati ma realizzati con materiali scadenti, e dunque pronti per un nuovo appalto, per nuove manutenzioni. Il classico pozzo di San Patrizio che ingrassa le ditte dei boss ed impedisce ai cittadini di spostarsi, al turismo di decollare, alle imprese di lavorare. Gli organi di stampa e le televisioni non hanno voluto capire che la sottovalutazione della ‘ndrangheta ne ha favorito l’espasione. Mentre pochi studiosi, tra cui il calabrese Ciconte, ne mettevano in evidenza il monopolio nel traffico di stupefacenti, la dimensione globale, le enormi disponibilità economiche, i media “che contano” continuavano a tratteggiare la criminalità anacronistica di una regione perduta alla civiltà.

 

 

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