Trafficking

Anche la Puglia base per la tratta delle donne

  Operazione della Mobile di Caltanissetta in collaborazione con la polizia di Roma, Napoli, Salerno e Lecce. Eseguito 26 ordinanze di custodia cautelare in carcere.
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Caltanisetta. Li facevano entrare in Italia con visti turistici anche su «ordinazione» di clienti e poi li sfruttavano per lavori di vario tipo, tutti rigorosamente «in nero», controllandone gli spostamenti in giro per l’Italia e minacciando chi osava ribellarsi. Vittime dell’organizzazione criminale, con base operativa in Sicilia e contatti nel Lazio, in Puglia e in Campania, per lo più donne provenienti da Romania, Ucraina e Russia. Una vera e propria «tratta delle schiave» pianificata e gestita con metodi manageriali.

E’ quanto emerge dall’operazione “Levante” condotta dalla squadra mobile di Caltanissetta che, in collaborazione con la polizia di Roma, Napoli, Salerno e Lecce, ha eseguito 26 ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti dei presunti componenti di un’organizzazione criminale, emesse dal gip di Caltanissetta Stefania Di Rienzo, su richiesta del sostituto procuratore Simona Filoni.

In carcere sono finiti imprenditori, commercianti, liberi professionisti, accusati di sfruttamento e favoreggiamentop dell’immigrazione clandestina. Sono stati eseguiti nove ordini di custodia cautelare in carcere, cinque provevdimenti di arresti domiciliari e dodici ordinanze di applicazione dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.

Nel corso dell’inchiesta sono state intercettate oltre 14 mila conversazioni telefoniche tra gli indagati che sono stati anche pedinati. Gli investigatori hanno ricostruito così l’organigramma del gruppo presumibilmente capeggiato da Domenico Castiglia e Giovanni Martorana, entrambi di Riesi, e Gaetano Antinoro, di Caltanissetta.

Secondo gli investigatori Castiglia avrebbe fatto arrivare in a Caltanissetta e nelle zone limitrofe, gli extracomunitari entrati in Italia per motivi di turismo e trattenuti dall’organizzazione, per poi essere dirottati ai più diversi lavori (badanti, cameriere, pastori, braccianti agricoli, operai) oppure alla convivenza more uxorio.

Per far giungere gli stranieri in Italia, l’organizzazione si sarebbe avvalsa di «fornitori», come Franco Amodio e Josefa Jagodzinska, operatori dell’agenzia Abacus di Roma; tre extracomunitari risultati irreperibili. Per la «fornitura» di ognji straniero sarebbero stati pagati 400 e 500 euro, che l’acquirente versava al momento dell’arrivo dell’extracomunitario, una spesa giustificata con la necessità di «pagare le spese sostenute dall’agenzia». I pagamenti della «merce» nei confronti dei fornitori all’estero avvenivano mediante versamenti effettuati con il servizio money transfert della Western Union. Spesso allo straniero «avviato al lavoro» non veniva corrisposta, dal datore di lavoro, la prima mensilità dello stipendio, affinchè questi potesse recuperare la quota iniziale, versata all’agenzia «per pagare le spese sostenute». Gli investigatori hanno inoltre riscontrato l’assoggettamento degli extracomunitari all’organizzazione che, spostandoli a suo piacimento, li sottoponeva a ogni sorta di sfruttamento materiale e morale, compresa la requisizione del passaporto e degli effetti personali così da impedirne la fuga.

Gli investigatori, nel corso delle intercettazioni, hanno accertato anche episodi di violenza sulle giovani straniere, picchiate quando il loro rendimento non corrispondeva alle aspettative dei «padroni». Tentativi di fuga degli «schiavi» sono stati bloccati tempestivamente dai componenti dell’organizzazione criminale, che era in grado di monitorare gli spostamenti degli immigrati e rintracciarli anche in altri centri, grazie ai contatti con gli affiliati. I clandestini, inoltre, venivano «riciclati» per soddisfare qualsiasi esigenza dei clienti. L’organizzazione aveva predisposto anche un «servizio di prelievo» degli immigrati in arrivo alle varie stazioni ferroviarie o con gli autobus, l’anticipazione via fax delle fotografie delle giovani donne ancora in Romania da far entrare in Italia, al fine di permettere ai «clienti» di prendere visione preventiva della qualità della «merce umana» ordinata, scongiurando così il pericolo di consegnare «articoli non graditi».

La Gazzetta del Mezzogiorno, 03.08.2005

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