María Isabel, 15 anni, fu rapita a Città del Guatemala la notte del 15 dicembre 2001. Il suo corpo venne ritrovato alla vigilia di Natale, in un sacco di plastica. Era stata sottoposta ad ogni sorta di violenza, ma, nonostante le indagini iniziali, i responsabili del suo assassinio sono ancora in libertà.
“La mancanza di adeguate indagini e l`assenza di incriminazioni nei casi di omicidio di donne e ragazze in Guatemala sono il messaggio che la violenza contro le donne in questo paese è un fatto accettabile. Le autorità devono sovvertire questa percezione assicurando che su omicidi come quello di María Isabel siano svolte indagini e sia garantita giustizia. Altrimenti, l`annunciato impegno a lavorare per prevenire la violenza contro le donne non avrà alcun valore effettivo”, si legge in un nuovo rapporto sul Guatemala presentato nei giorni scorsi da Amnesty International.
Secondo le autorità guatemalteche, tra il 2001 e il 2004 sono state assassinate 1.188 donne e ragazze, molte di esse in modo efferato. La violenza sessuale, in particolare lo stupro, pare essere un elemento ricorrente in molti degli omicidi, ma non viene considerata tale nelle statistiche ufficiali. In un certo numero di casi, i corpi delle vittime erano mutilati e sfigurati in un modo che richiama alla memoria gli omicidi commessi nel corso del conflitto armato interno. Ad oggi, secondo l`Ufficio del difensore civico per i diritti umani, solo sul 9% di questi casi è stata aperta un`inchiesta. “La dimensione reale degli omicidi di donne in Guatemala rimane sconosciuta”, ha dichiarato Fosca Nomis, vicepresidente della Sezione Italiana di Amnesty International. “Lo stupro e gli altri crimini di natura sessuale sono spesso quasi invisibili a causa della mancanza di statistiche attendibili sul numero e le circostanze in cui le donne vengono uccise”.
Il rapporto di Amnesty International mette in luce come la discriminazione sia al centro dell`attuale crisi dei diritti umani cui vanno incontro le donne e della stessa modalità con cui le autorità reagiscono a questa situazione. Ne sono la prova le dichiarazioni di alcuni pubblici ufficiali, che etichettano le vittime come prostitute o appartenenti alle “maras”. Questo atteggiamento influenza il modo in cui vengono condotte le indagini o vengono catalogati questi reati, o addirittura diventa la causa della mancanza di indagini.
“La mancanza di azione e la compiacenza delle autorità acuisce la sofferenza delle famiglie le cui richieste di indagini adeguate sono raramente ascoltate”, ha commentato Nomis. Gli organi ufficiali coinvolti nelle indagini sostengono che il 40% dei casi è semplicemente archiviato.