«Definire Angelo Izzo collaboratore di giustizia non ha nessun fondamento. Non escludo che nella sua storia di detenuto Izzo possa aver reso dichiarazioni collaborative, ma non per questo l`autorità giudiziaria ha chiesto per lui lo status di collaboratore di giustizia». Lo ha detto ieri il sottosegretario agli Interni e presidente della commissione centrale sui pentiti del Viminale Alfredo Mantovano. A rigor di logica ha ragione. L`antico assassino del Circeo, oggi reo confesso del duplice omicidio di Campobasso, non è mai stato un «pentito» propriamente detto. Non avrebbe potuto esserlo. Tra i militanti di estrema destra dei primi anni `70 lo conoscevano in pochissimi, e nessuno se lo ricorda direttamente impegnato nella lotta politica. Il suo fascismo era fatto di malinteso superomismo, disprezzo per i più deboli, culto della propria superiorità. Non di militanza politica. Per quanto riguarda il terrorismo, Izzo di cose da raccontare non ne aveva.
Il sottosegretario Mantovano dimentica tuttavia di aggiungere che Angelo Izzo è stato ugualmente un beniamino degli inquirenti, detenuto nel carcere dei «pentiti», Paliano, l`unico dove siano possibili incontri tra maschi e femmine e che nella sua singolare veste ha svolto un ruolo centrale, in alcuni casi determinante nelle indagini sul terrorismo di destra, in particolare su quella che ha portato alla condanna di Francesca Mambro, Valerio Fioravanti e Luigi Ciavardini per la strage di Bologna.
Dice oggi di lui Libero Mancuso, attualmente presidente di corte d`assise a Bologna, che in veste di sostituto procuratore ha avuto modo di lavorare a lungo sulle sue deposizioni: «Per alcuni versi si è dimostrato di massima affidabilità, almeno prima di iniziare a mentire. Negli anni tra l`83 e l`84 ha dato un contributo importante per la ricostruzione dell`intero quadro dell`eversione nera. Era al corrente di moltissime cose perché conosceva tutti i neofascisti criminali in carcere». Termini non dissimili da quelli che aveva usato nel `93, dopo l`evasione di Izzo dal carcere di Alessandria, dove non era rientrato al termine di un permesso premio. «Se potessi parlarci – disse allora il sostituto procuratore che indagava sulla strage di Bologna – lo convincerei a tornare, sempre che sia ancora vivo. Izzo ha preso le distanze dall`orrore e dall`ambiente neofascista in cui è vissuto, diventando una miniera di informazione per molte inchieste».
Molte? Moltissime. Mai però come pentito direttamente coinvolto nelle vicende di cui raccontava a valanga, sempre come confidente, mallevadore e spesso anche regista dei pentiti. Nell`86 Izzo, allora detenuto a Paliano, anticipa addirittura la pentita propriamente detta. Racconta di aver appreso da una giovanissima neofascista, Raffaella Furiozzi, il coinvolgimento di tre terroristi neri, Massimiliano Taddeini, Nanni De Angelis (nel frattempo morto suicida in carcere subito dopo l`arresto) e Luigi Ciavardini nella strage di Bologna. La Furiozzi, convinta poco dopo dal solito Izzo a testimoniare in prima persona, afferma di aver saputo dal di lei fidanzato, nel frattempo deceduto in uno scontro a fuoco con la polizia, che Taddeini e De Angelis erano i responsabili della strage. Il terzo nome, quello di Ciavardini, lo ha aggiunto Izzo di suo, perché «sapeva che i tre erano molto amici». Taddeini e De Angelis si riveleranno estranei, aldilà di ogni possibile dubbio, alla strage. Ciavardini, entrato nella vicenda grazie alle intuizioni di Izzo, invece verrà condannato proprio per quella strage.
Il Manifesto, 4 maggio 2005.
Non finisce qui. Izzo accusa Fioravanti di aver ucciso Piersanti Mattarella (su commissione di Salvo Lima) e Mino Pecorelli, anche in questo caso affiancato da numerosi altri pentiti tra i quali Cristiano Fioravanti, fratello di Valerio, che poi ritratterà. E` una bufala. Il giudice Falcone se ne accorge e lo denuncia: quattro anni per calunnia. Izzo prosegue imperterrito. Accusa il neofascista Fachini per la strage di piazza Fontana, poi il suo complice nel delitto del Circeo Andrea Ghira, latitante da allora, per l`uccisione di Giorgiana Masi.
Sono tutte invenzioni, ma prima di convincersene i giudici continuano ad ascoltarlo a lungo. Pur rendendosi conto, come ha dichiarato ieri Mancuso in un`intervista al Corriere della Sera, che Izzo «era come se prevedesse quello che l`inquirente voleva sentirsi dire e si adeguasse a queste previsioni per fare contento il magistrato». Come dire che Izzo mentiva per compiacere gli inquirenti e che questi, almeno stando alle parole di Mancuso, se non lo sapevano, almeno lo intuivano.
Ciononostante, grazie al ruolo di direttore d`orchestra dei pentiti neri, Izzo si è garantito benefici materiali, come la permanenza a Paliano, e soprattutto è riuscito ad accreditare la sua trasformazione in un santo. Ora che il castello di bugie è crollato nel modo più tragico, l`ultima beffa sarebbe addossare tutte le responsabilità per la scarcerazione di questo ex pupillo degli inquirenti, al giudice di sorveglianza che, sulla base dei rapporti consegnatigli, gli ha concesso la semilibertà.