Ammissione del Ministero dell’Interno: appena 35mila arrivi, tutti profughi

«Non vogliamo essere buoni? Cerchiamo di essere intelligenti». Nel 2013 nessuna emergenza sbarchi

  Un incontro al CIR è l`occasione per un bilancio della stagione di arrivi sulle coste italiane. Numeri «indecorosamente piccoli» e situazioni gestibili fuori dalla Libia con corridoi umanitari («un sistema legale e incruento»). Chi lo dice? Il Ministero dell`Interno. Peccato che nei mesi scorsi abbiamo assistito all`allarme invasione, alle missioni militari e ai nuovi accordi per blindare le frontiere
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ROMA – Non perdonarli, Dio, perché sanno perfettamente quello che hanno fatto. Il bilancio dell’ultima stagione di «sbarchi» (e conseguenti allarmi) sull’«invasione epocale» lo fornisce un funzionario del Ministero dell’Interno. Se non vogliamo essere buoni allora cerchiamo di essere intelligenti», dice il prefetto Riccardo Compagnucci, vice capo Dipartimento per le libertà civili e l`immigrazione.

E indica i numeri che hanno sconvolto l’Italia prima e dopo l’estate. Allo scorso 14 ottobre, i dati degli arrivi erano di 35.085 migranti: 9.805 siriani, 8.443 eritrei, 3.140 somali, 1.058 maliani, 879 afgani. Il 73% del totale, circa 24mila persone, necessita di protezione internazionale. Per quanto riguarda i porti di provenienza, 21.027 sono arrivati dalla Libia, 8.159 dall’Egitto, 1.825 dalla Turchia, 1.650 dalla Grecia e 1.480 dalla Siria.  Circa 25.000 migranti siano stati tratti in salvo grazie a operazioni di soccorso in mare da parte delle autorità italiane.

Il numero fa la differenza

«I nostri numeri sono indecorosamente piccoli». Compagnucci definisce gli arrivi del 2013 un «fenomeno problematico ma non epocale: il numero fa la differenza». I 20mila profughi siriani in Italia sono niente in confronto ai 2 milioni nei paesi confinanti. In genere chi scappa dalla guerra preferisce farlo vicino casa in vista di un rientro, anche in situazioni di grave pericolo. «Finiamola di dire che c’è questo anelito ad andare in Europa, se vai in Europa è perché hai una chance». A Lampedusa, dopo la strage, sono arrivati parenti eritrei dalla Svezia e dalla Germania. Se non fossero morti sarebbero andati in Nord Europa, Dublino o non Dublino.

Esistono le “filiere dell’immigrazione”. «Se l’Egitto dovesse saltare, gli egiziani verrebbero in Italia. Altri hanno maggiori contatti e opportunità in diversi paesi europei. «Dobbiamo trovare soluzioni, ma l’immigrazione sta davanti a noi di 10 anni. Le cose cambiano in fretta: 1 milione e 200 mila greci sono andati a lavorare in Turchia. L’Italia è ormai un paese di transito, ma non è colpa nostra se la Germania è più attrattiva: non è detto che se sei un rifugiato devi morire di fame. È pure vero che il nostro compito è più gravoso: dobbiamo soccorrere, respingere, valutare. Non è la stessa situazione della frontiera terrestre, in mare è diverso, il soccorso è la cosa principale. Avete visto quanto è difficile trasbordare? In tv non si capisce. Il numero di persone salvate deve essere riconosciuto a Lampedusa e all’Italia».

«Il nodo politico è il burden sharing umanitario, la condivisione delle responsabilità tra paesi del nord e del sud dell’Europa». In altre parole, chi “genera” profughi non può scaricare gli effetti sugli altri. «Se Hollande decide di intervenire in Mali si assume le sue responsabilità, chi è intervenuto in Afghanistan per prendere Bin Laden ha le sue responsabilità. Allo stesso modo in Somalia – vedi i rapporti con Siad Barre – anche noi assumiamoci le nostre responsabilità. A proposito di eritrei ed etiopi, dobbiamo tenere conto di quello che succede in quei paesi.

A proposito di corridoi umanitari, Compagnucci dice che «circa 11500 persone non sono arrivate dalla Libia, ma da Egitto e Turchia. Ci vorrebbe un sistema legale e incruento per far arrivare i profughi». Poche ore prima era stato sequestrato il premier libico. Dunque la Libia può essere considerata un “porto sicuro”? «In questo momento non è sicura nemmeno per il suo presidente».

Il respingimento differito

Altra grave questione è il rimpatrio forzato di migranti che provengono da paesi con cui l’Italia ha sottoscritto accordi bilaterali. «Dall’inizio del 2013 sono stati centinaia gli stranieri egiziani e tunisini rimpatriati senza avere la possibilità di entrare in contatto con le organizzazioni umanitarie», denuncia Christopher Hein, direttore del CIR (Consiglio Italiano per i Rifugiati).

«I migranti egiziani e tunisini vengono solitamente separati dagli altri migranti e collocati prevalentemente in Centri di Primo soccorso e accoglienza (CPSA), adibiti a strutture di detenzione pur non essendo dei Centri di Identificazione ed Espulsione (CIE), oppure in altri centri chiusi, prima di essere rimpatriati. Il trattenimento dei migranti in tali strutture viene effettuato senza alcuna procedura di convalida giurisdizionale e in questi centri i migranti tunisini ed egiziani sono identificati dalle rispettive autorità consolari e rinviati generalmente entro 48 ore dopo il loro ingresso in Italia. Che possiamo saperne che tra gli egiziani non ci siano ad esempio dei cristiani copti che rischiano persecuzioni individuali? E quali sono le condizioni di sicurezza generale in questo momento in Egitto?».

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