Dopo l`incidente del 4 giugno un comitato contro la Raffineria

Gela presenta il conto all’Eni e alla politica

Andrea Turco
  La Commissione Ambiente e Territorio dell`Assemblea Regionale Siciliana fa tappa a Gela in seguito allo sversamento di petrolio avvenuto sul litorale lo scorso 4 giugno. Sotto accusa per la prima volta non solo i vertici della Raffineria ma anche i politici e le istituzioni locali. Costretti all`autodifesa da un pugno di cittadini arrabbiati.
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GELA (CL) – Prima dell’audizione la scena è questa: da una parte i vertici dello stabilimento Eni di Gela, appartati insieme ai politici locali e ai giornalisti in attesa. Si tengono invece a distanza i membri della Commissione Ambiente e Territorio dell’Ars, insieme a cittadini, esponenti di associazioni ambientaliste e attivisti del M5S. Tutti riuniti sotto la sigla di un Comitato, inizialmente «No Eni» e che già ha allargato i propri orizzonti cambiando la denominazione in «Bonifichiamoci».

Presso l’aula consiliare del Comune di Gela si è tenuta l’audizione della Commissione Ambiente e Territorio, in trasferta per ascoltare la versione della Raffineria, le associazioni ambientaliste e le istituzioni sul caso dello sversamento in mare di greggio, avvenuto il 4 giugno a causa di una falla ad un impianto. Grande assente il presidente della Regione Rosario Crocetta, che da ex sindaco della città avrebbe potuto fornire un quadro più esauriente sui rapporti tra lo stabilimento petrolchimico e il territorio.

La tattica dell’Eni è stata chiara fin dall’inizio. Uno scarno comunicato letto da Claudio Zaccagna, presidente della «Raffineria di Gela», azienda del gruppo Eni, non ha aggiunto nulla di nuovo alle scuse che qualche giorno fa, nello stesso luogo e alla presenza del prefetto Carmine Valente, lo stesso Zaccagna aveva posto. E allo stesso modo il presidente della Raffineria ha minimizzato la perdita, parlando di un metro cubo di idrocarburi. Ma basta guardare le foto scattate subito dopo l’incidente dagli ambientalisti per accorgersi che la perdita è sicuramente più consistente.

Così la seduta fiume (quasi 4 ore) è  diventata un’occasione per un confronto aspro e serrato tra le associazioni ambientaliste, Lipu e Legambiente in testa, e le istituzioni locali, colpevoli secondo il Comitato Bonifichiamoci di non aver fatto abbastanza per difendere il diritto alla salute della popolazione. “Tempi certi per le bonifiche” ha chiesto ad esempio Pietro Lorefice di Legambiente aggiungendo, rivolto ai vertici dello stabilimento, che “l’Eni ha succhiato il nostro sangue, avete un debito col nostro territorio che dovete pagare”. Emilio Giudice, che attraverso la Lipu gestisce una riserva naturale a due passi dallo stabilimento, ha allargato lo sguardo agli effetti che subisce l’ecosistema a causa di incidenti del genere, non certificati dalle analisi dell’Arpa e dell’Asp. La risposta della Raffineria: “Noi vogliamo rimanere – ha sostenuto Casa – nonostante la Raffineria negli ultimi 3 anni abbia perso 600 milioni, la sostenibilità per noi è al primo posto”.

Una difesa più efficace è stata invece presentata dai deputati gelesi all’Ars, Pino Federico e Giuseppe Arancio. Che tutelavano sì il proprio operato ma con lo sgradevole effetto di comprendere in quest’opera di autodifesa anche l’Eni. Attraverso soluzioni tampone che non hanno mai provato ad affrontare veramente un rinnovato rapporto con uno stabilimento petrolchimico ormai logoro e improduttivo. “Senza l’industria pesante ci va a finire come la Grecia” – ha sostenuto il dott. Arancio con sprezzo del ridicolo. Senza cogliere neanche la denuncia di carenza di personale da parte dell’Arpa o la carenza di controlli ammessa dal sindaco Angelo Fasulo.

Si è dovuto attendere l’intervento finale della Capitaneria di Porto per chiarire che in merito allo sversamento del 4 giugno ad oggi è stata attuata una messa in sicurezza e non certo la bonifica, teoria sposata congiuntamente da Eni ed istituzioni locali. Torna alla mente la citazione del comico Lenny Bruce, fatta da Daniela del Comitato Bonifichiamoci: “La realtà è ciò che è, non ciò che dovrebbe essere”. Insieme alla rivendicazione: “L’unica immagine della città che ci interessa sono i fatti”.

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